“Su una panchina” racconto breve di Davide Morelli
Me ne sto acquattato, accovacciato, appollaiato su una panchina di una piazza all’ombra di un albero. Prima camminavo. Osservavo ĺe piastrelle di porfido del marciapiede, quindi le facciate dei palazzi. C’erano dei giardinieri in una villetta. Ho annusato il profumo della siepe di alloro appena tagliata, di quelle potature. Conosco tutto di questa piazza. Tutto quello che c’è da sapere. Mi ci fermo spesso. È poco distante da casa e nessuno mi conosce. Nessuno sa chi sono. Faccio sempre il solito tragitto. Cammino sempre ogni giorno, che ci sia il sole o piova. Conosco i volti di alcuni residenti. Conosco più o meno le loro abitudini. C’è chi porta a spasso il cane, chi siede come me su una panchina a frescheggiare, chi fa il footing e chi invece va in bicicletta. Ora frescheggio. Respiro l’aria finalmente settembrina. Ieri il cielo gravido, gonfio di pioggia. Mi ricordo le gocce sulle grondaie ossidate. Mio padre ha il Covid. È rappreso, ha il mal di gola, si sente debole, ma non ha febbre. Prende due volte al giorno la tachipirina. Ogni giorno migliora. Se ne sta a letto a guardare la TV con la finestra aperta dalle persiane un poco abbassate. Mia madre ora è negativa. Io e mia sorella abbiamo fatto due volte il tampone e siamo negativi. Laviamo posate, bicchieri e piatti con la varechina, prima di metterli nella lavastoviglie. La porta del soggiorno spesso è aperta perché l’ambiente deve essere areato. Mio padre quando viene in cucina si mette guanti, mascherina e avverte me e mia sorella perché non si venga. Me ne sto acquattato, accovacciato, appollaiato su una panchina di una piazza all’ombra di un albero. Forse quest’estate è finita. È stata un’estate torrida. Il temporale ha spazzato via l’afa, la calura. Oggi sono andato alla biblioteca comunale, dove ho acquistato 27 libri usati per soli 37 euro: un vero affare. Tutte le volte che vado a comprarli, e ci vado in diverse ore del giorno, non c’è mai nessuno, eppure ci sono tanti bei libri in ottime condizioni a prezzi modici. Si vede che non interessano. Però tutti vanno in pizzeria. Ci sono circa 50 pizzerie nella sola Pontedera. Sarà proprio vero che con la cultura non si mangia e che la cultura non si mangia, aggiungo io ironicamente. Prendo la brezza leggera che mi alita sul viso, che mi scompiglia i capelli e che mi modella la maglia. Una ragazza giovane si ferma con la macchina nello spiazzo. Dopo due minuti arriva un’altra macchina con a bordo un ragazzo. La ragazza scende dalla sua auto ed entra nell’altra. È da cinque giorni che assumo Samefast advance, un antidepressivo naturale che non dà dipendenza. Non ci vuole neanche la ricetta medica. Era da due settimane che ero d’umore nero. Ero, come si suol dire, giù di morale. Farò una cura di un mese. Poi si vedrà. Ora sto sensibilmente meglio. Con tutte le collaborazioni che ho, tra testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici devo scrivere almeno un articolo al giorno. È un buon esercizio mentale. Ho una scaletta: tre articoli al mese per un sito, altri due al mese a un altro, due articoli ogni due mesi a un altro ancora, un articolo ogni quindici o venti giorni agli altri. Insomma un articolo al giorno, ma è un impegno che non mi pesa. Impiego da un’ora e mezzo alle tre ore per scrivere un articolo, compresa la pubblicazione con controllo Seo. Non è mai una noia scrivere. Per me è un vero piacere. Non so come avrei fatto decenni fa senza i social e senza internet, che sono un modo per connettermi con altre persone che hanno i miei interessi e sono distanti geograficamente da me. Per me è un toccasana internet sia come mezzo di espressione che come forma di socialità virtuale. La mia realtà fisica, la mia quotidianità concreta è povera di stimoli, salvo un caro amico di vecchia data. La realtà è che sono solo per la maggior parte del tempo. Ci sono poche interazioni sociali che rompono per brevi istanti la mia solitudine, come ad esempio scambiare due chiacchere con i baristi e con qualche avventore. La mia vita sociale è ridotta ai minimi termini. È anche per questo motivo che talvolta vado in crisi. Penso che non ho una donna né un’amante in quest’epoca di grande libertà sessuale ed è frustrante per me, ma non voglio essere illuso e deluso, né voglio illudere o deludere una donna. Poi in fondo non avrei niente da offrire a una donna e talvolta penso che mi perdo poco. Mi viene a mente un verso di Claudio Lolli: “Siamo noi che cerchiamo l’amore sempre tra le braccia sbagliate”. Passa una donna bionda con un cane al guinzaglio, che tira. Guardo l’asfalto. Ormai il sole l’ha asciugato. Ieri la pioggia ha lavato le strade. Non c’è più rimasta una pozzanghera. Ascolto il rumore di fondo di una conversazione che proviene da una casa vicina. Percepisco qualche frammento. Poi mi distraggo. Non ci faccio più caso. Mi estraneo. Resto immerso nei miei pensieri. Penso che ognuno vorrebbe vincere la morte e allora fa figli e/o spera nell’aldilà e/o si dà all’arte. Ma la morte resta lì in agguato, pronta a uscire dalla tana e a prenderci talvolta senza preavviso. Me ne sto acquattato, accovacciato, appollaiato su una panchina di una piazza all’ombra di un albero. Il giorno sbiadisce, scolora. Gli uccelli ne cantano l’epilogo. Io, qui, uomo di mezza età solo e smarrito, in bilico tra azioni e pensieri, aspetto il crepuscolo. La luce del sole su foglie sparse, disseminate nell’erba. Ritorna a galla un’immagine rimossa per tanto tempo. L’orizzonte è un noumeno. Ma sono un semplice diarista ormai e non è più il tempo di metafore ardite. La vita è un gioco troppo assurdo per essere veramente un gioco e se è un gioco è uno scherzo che Dio o il Nulla infligge agli uomini. Lo sfarfallio di qualche raggio di sole livido, violaceo filtra tra i rami e mi inebria l’animo per qualche istante.