Partanna (Tp): nasce una cooperativa sociale intestata a Rita Atria la “picciridda” che sconfisse la mafia
A Partanna, in provincia di Trapani, le faide mafiose erano all’ordine del giorno negli anni ottanta e novanta; nel paese, cuore degli intrecci tra mafia e politica, scorreva talmente tanto sangue che il Vescovo Emanuele Catarinicchia si vide costretto a bloccare la processione eucaristica per protesta contro la violenza delle cosche nel territorio.
Fu negli anni novanta e fu a Partanna che Piera Aiello e Rita Atria, imparentate con una famiglia mafiosa della zona, iniziarono a collaborare con la giustizia: la prima, moglie del “picciotto” Nicola Atria, prese la sua decisione dopo che il marito venne ammazzato davanti ai suoi occhi. La seconda, sua cognata e sorella di Nicola, la seguì in questo percorso di giustizia.
Rita e Piera iniziarono a testimoniare nel 1991 e lo fecero affidandosi al magistrato Paolo Borsellino, una delle poche persone di cui ancora riuscivano a fidarsi; avendo vissuto all’interno di una famiglia mafiosa, le due donne fornirono delle confessioni precise e dettagliate che misero in ginocchio la mafia di Partanna. Rita aveva meno di 18 anni all’epoca, ma aveva già visto morire nelle faide prima suo padre e poi suo fratello; ed era come se fosse morta anche sua madre, che la ripudiò dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia: non c’era più spazio per lei nella famiglia Atria ormai decimata, per una “fimmina con la lingua longa e amica degli sbirri”. Di una che parlava troppo.
La fine di Rita non è però quella a cui si è soliti assistere quando si parla di ritorsioni mafiose: Rita non fu uccisa per vendetta, né fu punita dalle cosche per aver parlato: Rita si suicidò in un’afosa giornata di luglio del 1992, buttandosi giù dal settimo piano del palazzo nel quale viveva sotto protezione. Rita Atria avrebbe compiuto diciotto anni il 4 settembre, ma dopo la morte di Paolo Borsellino nell’attentato di via D’Amelio, il 19 luglio di quell’anno, decise di voler morire anche lei, convinta che quello Stato che non era riuscito a proteggere il magistrato non avrebbe più potuto farlo nemmeno con lei. Nell’ultimo biglietto lasciò scritto: “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta.”
L’associazione Libera dedicherà a Rita Atria la Cooperativa Sociale che nascerà a Partanna e Castelvetrano sui terreni confiscati ai mafiosi. È possibile dare un contributo a questa nuova realtà imprenditoriale acquistando i prodotti che Libera mette in vendita in occasione delle festività natalizie: da calendari, borse, agende, biglietti di auguri personalizzabili fino alle confezioni regalo che contengono vini, lenticchie, pesto di peperoncini piccanti, salse di pomodoro, paccheri, tarallini, friselle; tutto rigorosamente prodotto su terreni confiscati alle mafie e restituiti alla collettività.
Sul sito dell’Associazione Libera (http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7055) è possibile scaricare il modulo per effettuare l’ordine dei prodotti; è possibile ricevere ulteriori informazioni all’indirizzo mail : info@ilnataledilibera.it.
Quest’anno, acquistando un regalo di Natale dell’associazione Libera, si ricorderà il coraggio di Rita Atria, la “picciridda” che accettò di cambiare vita, nome, casa e identità per sconfiggere la mafia dentro di sé e, solo dopo, quella che aveva intorno. A soli 17 anni.
Grazia D’Onofrio
Nella foto: Rita Atria a 17 anni