Per una più ampia collaborazione in tema di sanità e assistenza
A Roma l’8 e 9 aprile gli Stati Generali della Salute
Più attenzione a ricerca, innovazione tecnologica e investimenti, ma anche più trasparenza nella progettazione. Oltre a un maggior dialogo comune tra Istituzioni pubbliche e private, cittadini e associazioni di volontariato.
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Due intense giornate dedicate al mondo della Sanità in Italia e in Europa presentate dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin per gli Stati Generali della Salute. Un appuntamento al quale hanno partecipato i vertici italiani e europei di tutte le strutture più importanti. «È noto che la Sanità si collega oggi alle grandi sfide economiche del Paese, e il settore farmaceutico italiano relativo alla ricerca, ad esempio – ha esordito il presidente del Consiglio Matteo Renzi (alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), nella sua breve introduzione –, ritengo sia un punto di riferimento avanzato dell’Italia nel mondo con i suoi 120 mila addetti, compreso l’indotto. Le innovazioni dei giovani ricercatori trovano in questo ambito un terreno fertile, che rappresenta parte della scommessa occupazionale del Paese. Una Sanità che si collega all’attività quotidiana di tutte le figure preposte, e ai 5 milioni di volontari. Gli Stati Generali della Salute vogliono rappresentare un incontro per argomentare sui costi, ma anche la messa in atto di strategie per affrontare i problemi sociali derivati dal basso tasso di natalità e dalla qualità di vita soprattutto degli anziani; individuare le priorità sanitarie, occupazionali, assistenziali, etc. E alla luce di tutto ciò è evidente che va fatta una revisione della spesa».
Oggi, ad differenza di anni fa, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è cambiato, soprattutto dopo la Riforma del Titolo V della Costituzione che dà piena attuazione dell’art. 5, riconoscendo le autonomie locali quali Enti esponenziali (Regioni, Comuni e Provincie) preesistenti alla formazione della Repubblica. Il diritto alla salute oggi è sempre meno garantito: frodi e ruberie che si vanno sempre più perpetuando, la ricerca che ha sempre più bisogno di sostegno economico, mentre la prevenzione continua ad essere la cenerentola, se non quasi dimenticata.
Molti esperti si sono confrontati in diversi panel. E subito è apparso chiaro che nella consapevolezza di preparare un futuro di qualità della sanità italiana, sarà fondamentale investire in tecnologia e assicurare maggiore trasparenza dei dati. Nel 2013 gli investimenti su tecnologie, informazione e comunicazione in ambito sanitario sono stati di 1 miliardo di euro, pari all’1,6% del Fondo nazionale, e gli assistiti hanno rappresentato il 62% della popolazione complessiva; il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) è stato attivato dal 57% delle Strutture; i referti on-line sono stati attivati sul 57% del territorio nazionale, e il 14% opera tuttora in piena attività. Inoltre, gli accessi annuali ai P.S. sono circa 14 milioni, e i cittadini possono contare in una aspettativa assistenziale di 45.429 medici di medicina generale e di 18 mila farmacie. «La spesa pubblica, la crisi economico-finanziaria e la crescita di domanda di salute da parte di una popolazione che sta sempre più invecchiando – ha sottolineato il ministro della Salute – sono tematiche che tutti i giorni gli operatori della sanità devono affrontare sul proprio territorio, nelle proprie Aziende sanitarie e ospedaliere e sulle quali si devono confrontare le Governance regionali, gli amministratori, i dirigenti. C’é bisogno di una nuova fase più rigorosa, di programmazione e pianificazione, ma anche di certezze. Ognuno deve fare la propria parte, a cominciare dalle Regioni che devono rivedere la propria posizione: impegni chiari, trasparenti, quantificati e misurati». Il nostro Dicastero si sta cimentando sul Patto della Salute (accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni in merito alla spesa e alla programmazione del Ssn, n.d.r.). «Di questo Patto – ha precisato Lorenzin – è ancora lettera morta il 60% degli impegni, e ciò non è accettabile. È necessario stabilire la certezza del budget per la programmazione dei prossimi tre anni, ed essere in grado di stabilire dove e quanto si risparmia, e si re-investe con un meccanismo verificabile, e se non vengono rispettati i patti si dovrà agire a livello centrale con poteri sostitutivi. Un’azione rigorosa che permetterà di recuperare milioni di euro e investire in salute. Da oggi al 2015 sul mercato italiano saranno disponibili farmaci rivoluzionari, come quello per il trattamento dell’epatite C, il quale tra breve sarà introdotto anche in Italia per un impatto di 1 miliardo di euro». Al Governo è in atto un lavoro di squadra tra le varie competenze che interagiscono tra di loro, incrementandosi per meglio affrontare insieme i problemi. Tutti i cambiamenti che saranno adottati porteranno quelle Regioni, che non sono in grado oggi di garantire una assistenza ottimale dal punto di vista sanitario, all’altezza delle altre Regioni.
Un ulteriore intervento della Lorenzin ha posto l’attenzione sulla programmazione dei territori, in quanto la norma divide il sociale dal sanitario, quando invece bisogna fare un lavoro di integrazione socio-assistenziale, ossia unire l’assistenza sanitaria a quella del territorio. «In questi anni di crisi economico-finanziaria – ha spiegato – intere fasce della popolazione rinunciano alla prevenzione o rimandano per indisponibilità economica. Al Patto della Salute c’é un tavolo parallelo organizzato dalle Regioni su un progetto di revisione dei ticket, cercando di riequilibrarli all’interno delle fasce sociali più deboli…». Da questo panel il ministro ha lanciato alcune proposte come la presa visione della programmazione e di come si sta trasformando in quanto ci sono diversità fra Regioni, e l’esigenza di programmazione del sistema non è solo per alcune Regioni ma per tutte. Il tema del digitale non può essere considerato secondario senza togliere spazio al rapporto medico-paziente, ma significa rendere una linea di efficienza e, per questo, ci sono i relativi strumenti: tessere sanitarie, fascicolo sanitario elettronico, ricette digitali, il lavoro del Portale, etc., ossia c’é la possibilità di incrociare dati fra di loro e ottenere gli stessi di misurabilità. «L’unico modo di sconfiggere la malagestione e le sacche di corruzione – ha precisato il ministro – è l’accesso ai dati, che deve essere trasparente, misurato e quantificato. Ogni ritardo a questo tipo di implementazione non è casuale, ma doloso… Ciò deve avvenire con spirito di collaborazione e solidarietà fra Regioni che hanno livelli di difficoltà diversi; pertanto è necessario passare a degli obiettivi di misurabilità e quantificazione e trasparenza in tre anni. C’é inoltre la necessità di codificare degli standard di qualità minimi, ma nello stesso tempo di non frenare chi sta andando oltre…».
Relativamente alla Conferenza Stato-Regioni da circa due anni sono vigenti delle norme (in parte ancora disapplicate) per la riorganizzazione delle Reti territoriali finalizzate al rapporto ospedale-territorio. Infatti, da più parti e da tempo si parla di razionalizzazione tra ospedale e territorio, dell’esigenza di domiciliare le cure, trasformare le Reti, della necessità di utilizzare le nuove tecnologie per facilitare l’organizzazione in modo diverso, come ad esempio, domiciliare sul territorio i pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), ma dalla carta alla realtà ci sono gap non facilmente colmabili…, tant’è che per intervenire in molte realtà le impostazioni preposte sono già superate. Da qui la necessità di adeguarsi rendendo più fattibile la gestione diretta delle prestazioni. E riguardo i malati cronici si è sicuri di riuscire a gestirli al proprio domicilio? Le strutture intermedie come devono essere strutturate? A questi quesiti la Lorenzin ha risposto: «Vista la differenza tra una Regione e l’altra è necessario costruire dei modelli per i territori di sofferenza, territori che tra l’altro hanno più bisogno di tutti dal punto di vista della domanda sanitaria. Ed è opportuno che a questo proposito chiunque avanzi delle proposte».
L’EUROPA. UN SOGNO CHE NON HA FINE
La nuova Europa da tempo sta re-investendo sulla salute, sicurezza e ricerca per i suoi cittadini. Il volume della ricerca europea nel 2012, ad esempio, è stato di oltre 266 miliardi di euro, e i soldi investiti nella ricerca biomedica ammontavano a 47 miliardi di euro; 2.593 sono invece le industrie biotecnologiche. Ma per rendere più competitiva l’Europa è necessario far continuare questo sogno, e ripensare un nuovo futuro. E con questi propositi è stato affrontato il tema per il posizionamento dell’Italia e dell’Europa all’interno di una strategia globale di sviluppo, ricerca e innovazione. Una strategia che riguarda il futuro delle nostre popolazioni, in particolare delle persone che soffrono, ossia i pazienti. L’Europa, è stato ricordato con orgoglio, è il continente che ha “inventato” la Medicina moderna: per primi si è dato assistenza gratuita a milioni di cittadini , e uno degli elementi centrali della strategia europea è stato quello di garantire pace e benessere a 500 milioni di persone, dopo la tragedia dei due conflitti mondiali. E per chi si candida a guidare il semestre europeo (da luglio a dicembre 2014 toccherà all’Italia, che avrà un Dicastero importante come quello della Salute) non potrà non “recuperare” la garanzia a milioni di persone in fatto di prestazioni gratuite, eccellenza di cura e sicurezza. E a questo proposito ogni Paese si sta interrogando su come affrontare il futuro.
Nei prossimi mesi l’Europa si troverà di fronte alla scelta di poter somministrare alle proprie popolazioni farmaci innovativi, ma che hanno un costo praticamente impossibile da sostenere. Secondo la relatrice bisognerà dunque ipotizzare dei percorsi diversi per garantire ai cittadini di poter fruire delle scoperte scientifiche, e nello stesso tempo riuscire a sostenere sia le innovazioni che i rispettivi conti pubblici. E questo potrebbe essere un primo passo alla vigilia del semestre europeo italiano; una strategia che deve però coinvolgere tutti gli Stati membri, in quanto è un tema di salute pubblica. «Se vogliamo avere una visione complessiva delle nostre strategie come sistema di ogni Paese – ha precisato Emilia Gazia De Biasi, presidente XII Commissione Sanità – bisogna uscire da ogni schema burocratico. Abbiamo un tema importante che è quello di trattenere nei territori europei l’investimento sul capitale umano: in Italia si spendono 370 mila euro per formare un ricercatore, che è la nostra specificità, ma che in realtà non siamo in grado di trattenere nel Paese o in territorio europeo, con la conseguenza di perdere competitività e, a questa stregua, l’Europa rischia di diventare solo un… mercato. Si tratta di capire se possiamo rendere più competitivo il nostro territorio, attrarre investimenti, e se c’é bisogno di modificare qualche regola per agevolare l’innovazione in Italia e in Europa, al servizio del paziente». Dal punto di vista della ricerca applicata sino ad oggi in Europa si è riusciti ad adottare un nuovo regolamento sui test clinici, per i quali si stima di ridurre di 8oo milioni di euro il peso della burocrazia, e questo faciliterebbe l’esecuzione dei test introducendo una autorizzazione unica a cura dell’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali). Tutto consentirebbe di avere una maggiore possibilità di sperimentazione clinica in Europa, considerando che negli ultimi anni si è perso il 25% dei test clinici, e ciò significa innovazione per la quale ogni anno l’Europa spende 20 miliardi di euro, e dare più speranza ai quei malati per i quali non è previsto un trattamento specifico. Sui medicinali orfani l’Europa è all’avanguardia in quanto vi è una legislazione che facilita l’entrata sul mercato dei medicinali orfani (attualmente ne sono stati autorizzati 97 ed evidenziate oltre 1.000 qualifiche per i farmaci che sono in fase di sviluppo. «Noi lavoriamo anche nel campo delle terapie avanzate – ha spiegato Elmar Nimmesgern, vice capo Unità per la Medicina Innovativa e Personalizzata, e direttore generale per la Ricerca nella Commissione Europea –, aspetto molto delicato in quanto bisogna garantire ai pazienti trattamenti sicuri e di efficacia. Con l’EMA stiamo stiamo lavorando su come si può definire meglio il campo di applicazione e le procedure di autorizzazione. Per la Medicina personalizzata abbiamo adottato un Rapporto che evidenzia le sfide e le opportunità, con l’accortezza di ridurre al minimo gli eventi avversi, ma avere anche una migliore trasposizione delle ricerche nelle applicazioni mediche». Il sostegno alla innovazione terapeutica e l’accesso ai migliori trattamenti innovativi comportano un costo notevole, anche se a livello internazionale le spese per i medicinali diminuiscono: nel 2002 l’Italia ha speso l’1,6% del Pil per i farmaci ad uso ambulatoriale, mentre oggi si spende l’1,3% del Pil e, a questo proposito, gli Stati membri tendono ad analizzare i prezzi dei prodotti farmaceutici confrontandosi tra loro per individuare la migliore offerta, e questo porta però ad uno scarso coordinamento. A livello europeo, con i ministri si stata ipotizzando una riflessione sul prezzo dei farmaci.
Un particolare riferimento è stato fatto al problema della demenza di Alzheimer, una malattia che colpisce molte persone in tutta Europa, per la quale a tutt’oggi non ci sono farmaci che siano realmente terapeutici, ma solo farmaci sintomatici che rallentano il decorso della malattia. A riguardo è intervenuta Heike von Lutzau-Holbein, geriatra e presidente Alzheimer Europa, la quale ha precisato che le Case farmaceutiche stanno oggi collaborando più intensivamente, ed è quindi necessario pensare a nuovi modelli di ricerca. «Dal punto di vista della ricerca generale – ha spiegato la relatrice – manca ancora molta innovazione, e c’é bisogno di più teorie… Bisogna condividere i risultati, soprattutto quelli negativi e creare delle Strutture a livello europeo dove inserire tutti i dati clinici, di trials, biomarcatori, di valutazioni neuropsicologiche, etc., e condividerli fra i ricercatori e i biostatistici». Occorre migliorare la ricerca anche sui biomarcatori, ossia su quelle modalità che permettono di selezionare meglio i pazienti, individuando gli stessi in fase preclinica. Altra attenzione meritano gli anziani, specie gli ultra 85enni, che più percentualmente soffrono di malattie neurodegenerative, e anche se non rientrano nei trials della ricerca bisogna dare loro comunque una risposta. «È una popolazione che è più a rischio di malattia – ha concluso Heike von Lutzau-Holbein – e probabilmente con maggiori possibilità terapeutiche. Ma è anche importante la collaborazione tra pubblico e privato, sia nel settore biomedico che assistenziale: si tratta di dialogare anche con chi è già malato e non solo con chi è potenzialmente candidato alla patologia».