Perché leggere “Hotel Borg” di Nicola Lecca
di Marcella Onnis
È con un certo senso di inadeguatezza che mi appresto a parlarvi di Nicola Lecca e del suo delicato romanzo Hotel Borg. Perché Nicola è un animo gentile – come sa bene chi lo segue su Twitter e chi legge i suoi articoli e/o i suoi romanzi – per cui solo una persona fine può trovare le parole più appropriate per parlare della sua scrittura.
Lontano anni luce dalla volgarità e anche solo dall’irruenza cui il nostro tempo ci ha abituati, la sua penna crea parole ad un tempo eleganti (per accarezzare la mente), suggestive (per stimolare la fantasia) e coraggiose (per spronare gli animi affinché non si lascino “vivere dalla vita” e non subiscano “ogni giorno gli affronti del destino senza ribellarsi”).
L’ambientazione di Hotel Borg (l’Islanda) potrebbe trarre in inganno il lettore, lasciandogli supporre che ben presto sarà calato in atmosfere cupe e angoscianti come quelle dei romanzi del danese Peter Høeg. Ma pagina dopo pagina, se proprio vorrà trovare dei termini di paragone, penserà piuttosto a Canone inverso di Paolo Maurensig e alle atmosfere malinconiche e delicate di Kitchen di Banana Yoshimoto o de L’eco delle risaie di Anna Moï. Oppure, ancora, i suoi personaggi così unici al limite della follia, tutti gravitanti attorno ad un albergo, gli riporteranno alla mente i volti di Oceano mare di Alessandro Baricco.
Tuttavia, limitare a queste somiglianze la scrittura di Nicola Lecca è un’operazione impropria: l’architettura complessa ma armonica del romanzo, l’uso consapevole e appropriato della punteggiatura, la scrittura sobria e mai leziosa, la capacità di descrivere con la stessa efficacia la consistenza della sabbia o di un sentimento umano, costituiscono un mix assolutamente personale. E questa maturità stilistica, raggiunta già ai trent’anni (il libro è, infatti, del 2006) è certamente indice di talento. Se non fosse una persona umile, sicuramente – parafrasando Totò – direbbe di sé: “Scrittori si nasce ed io lo nacqui, modestamente”. Ma poiché dalla sua bocca e dalla sua mano mai verrà fuori una simile affermazione, sta a noi lettori tributargli questo riconoscimento. In silenzio, però, e senza applaudire, come il pubblico che, in Hotel Borg, assiste al concerto d’addio del maestro Alexander Norberg.