Perché leggere “Mancarsi” di Diego De Silva
di Marcella Onnis
«Ci censuriamo continuamente per paura di deludere, offendere, restare soli. Non difendiamo i nostri pensieri e li svendiamo per poco o niente, barattandoli con la dose minima di quieto vivere che ci lascia in quella tollerabile infelicità che non capiamo nemmeno di cosa sia fatta, esattamente. Siamo piuttosto ignoranti in materia d’infelicità, soprattutto della nostra. È per via di questa reticenza che quando ritroviamo i nostri pensieri nei libri, sembra che ce li tolgano di bocca con tutte le parole. Allora li rivalutiamo. Ci viene voglia di riprenderceli, di difenderli. In un certo senso, cominciamo a parlare.»
In questo passaggio – non a caso stracitato – io credo sia racchiuso il segreto del successo del libro da cui è tratto: Mancarsi di Diego De Silva. Pagine e pagine che sembrano la trascrizione fedele dei nostri pensieri, dei nostri moti dell’anima.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare leggendo la trama (due persone fatte l’una per l’altra che, però, non si incontrano mai, pur frequentando lo stesso locale), infatti, in questo romanzo l’amore non è l’unico tema trattato. De Silva vi sviscera le dinamiche dei rapporti interpersonali in generale. Rapporti di cui l’amore è solo una tipologia… ma essendo quella a cui quasi tutti diamo più importanza, è anche quella a cui lui più ha dato attenzione.
Ed è grazie a questa attenzione che ha saputo cogliere verità che sanno forse di scoperta dell’acqua calda, ma per le quali abbiamo bisogno di un promemoria, posto che, spesso, ci ritroviamo a fare docce fredde. Per esempio, il peso dei dettagli di un sorriso (per citare Gianni Zanata e il suo ultimo romanzo), di uno sguardo, di un gesto… Da questi, anche se di per sé insignificanti, tante e tante volte dipende la nascita e, purtroppo, la fine di un legame: «Il dolore e la felicità sono fatti soprattutto di cianfrusaglie, paccottiglia, ingombri da soffitta di cui non riusciamo a disfarci anche quando abbiamo smesso definitivamente di usarli ed escludiamo che ci possano tornare utili.»
De Silva dedica, inoltre, molta attenzione – lo si può intuire dalle precedenti citazioni – alla felicità e all’infelicità, due sentimenti opposti la cui esistenza è strettamente legata alla misura di libertà di cui si dispone. Ed è riguardo a questo valore che l’autore offre un altro interessante spunto di riflessione: «C’era qualcosa di miserevole nel dilapidare la libertà. Usarla le toglieva valore, la involgariva, l’abbassava di livello. La faceva diventare un potere qualsiasi. Era invece nel centellinarla, e più ancora nel rinunciarci, che Nicola si sentiva veramente libero. Trovava che il bello della libertà fosse nel minacciare di servirsene.»
Lo stile della narrazione è vivace e appropriato l’uso che l’autore fa della punteggiatura. Il periodare è lungo, è vero, come alcuni gli rimproverano, ma personalmente di rado ho perso il filo. Molto apprezzabile, inoltre, l’erotismo appena accennato con cui efficacemente descrive certi giochi di seduzione.
L’unico neo sta, purtroppo, nel finale, che chiaramente non svelerò. Mi limito a dire che una trama così poteva avere solo due esiti, entrambi destinati a scontentare qualcuno: non far mai incontrare i due protagonisti, lasciando almeno i più romantici con l’amaro in bocca, o farli incontrare rinunciando però alla coerenza, con disappunto dei più razionali.