Perché leggere “Piccoli suicidi tra amici” di Arto Paasilinna
di Marcella Onnis
Siamo in molti in Italia ad associare ai paesi scandinavi l’immagine di terre bellissime ma così cupe da indurre i loro abitanti alla depressione e alla follia. Un preconcetto, questo, che trova, peraltro, in parte conferma nell’esperienza empirica: secondo i dati Eures, ad esempio, in Finlandia nel 2009 si sono verificati 18.2 casi di suicidio ogni 100.000 abitanti (dato tra i più alti registrati nel continente europeo). Imbattersi in un romanzo come Piccoli suicidi tra amici dello scrittore finalndese Arto Paasilinna può quindi generare un certo stupore. Del resto, è lo stesso autore a confermare nelle prime pagine che la giovialità non è sicuramente una delle caratteristiche tipiche dei suoi connazionali: «Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. Un senso di gravezza aleggia su questo popolo sfortunato, tenendolo da migliaia di anni sotto il suo giogo, tingendone lo spirito di cupa seriosità.»
Con Piccoli suicidi tra amici, questo scrittore compie dunque un azzardo per vari motivi: primo perché tenta di alleggerire questo senso di gravezza che opprime il suo popolo; secondo perché trasforma in motivo di ilarità uno dei gesti più estremi e drammatici che un uomo possa compiere. E se osa farlo è perché, come recita il proverbio che introduce la prima parte del romanzo, «In questa vita la cosa più seria è la morte; ma neanche quella più di tanto».
Secondo una lettrice con cui ho avuto modo di confrontare le impressioni su questa lettura, lo stile di Paasilinna avrebbe dei tratti in comune con quello di Andrea Vitali. Ebbene, il suo paragone mi pare tutt’altro che azzardato: entrambi tratteggiano situazioni e personaggi bizzarri, al limite del ridicolo; entrambi infarciscono le loro trame di risvolti gialli, ma soprattutto per entrambi le storie esilaranti sono il mezzo con cui fare della satira sociale, politica e morale. Per chi si approccia per la prima volta all’opera di Paasilinna e/o al contesto finlandese è difficile comprendere appieno l’acutezza di questa satira, ma in suo soccorso, nell’edizione Iperborea, arriva la postfazione di Diego Marani. Quest’ultimo offre un’analisi del testo preziosa ed esauriente, spaziando dalla tecnica (di cui loda, in particolare, l’attenzione per i dettagli, che rende abbastanza realistiche le rocambolesche avventure dei protagonisti, ben lungi dall’apparire delle “americanate”) al contenuto, la cui profondità non si ferma sicuramente alla satira.
Avvalendosi del suo brillante umorismo, infatti, l’autore vuole cantare un originale inno alla vita, come appare chiaro dai suoi versi scelti come epigrafe per la seconda parte del libro («Si può scherzare con la morte, ma con la vita no.») e come diventa via via più chiaro man mano che la trama si avvia verso l’epilogo. Ogni inno alla vita che si rispetti contiene, però, almeno un ammonimento per coloro che non comprendono quanto l’esistenza terrena sia preziosa e questo romanzo non fa eccezione:«[…] ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto. Solo chi si è spinto fino alla soglia della morte comprende che cosa vuol dire in pratica l’inizio di una nuova vita.»
Ed anche riguardo a questo aspetto Marani si rivela prezioso, regalando ai lettori un suo personale avvertimento: «Quel che sarebbe davvero imperdonabile è credersi vivi quando invece si è morti da un pezzo».