Perché leggere “Stirpe” di Marcello Fois
L’ultima fatica di Marcello Fois non è sicuramente uno dei suoi romanzi più riusciti: la lettura è poco scorrevole per via del linguaggio a tratti un po’ ostico che richiama alla memoria alcuni criptici passaggi del suo saggio-autobiografia In Sardegna non c’è il mare. Non solo: se In memoria del vuoto o Gente del libro gli eccessi di “lirismo delirante” risultano comunque funzionali alla narrazione o perlomeno coerenti con essa, qui è quasi sempre difficile percepire questa scelta stilistica come necessaria.
Nonostante ciò, anche in Stirpe lo scrittore nuorese dà piena dimostrazione delle sue grandi qualità artistiche, prima fra tutte la sua particolare maniera di descrivere tanto gli stati d’animo quanto i massimi principî che regolano l’esistenza umana. Splendide, ad esempio, sono le pagine finali in cui il protagonista, Michele Chironi, spiegando al figlio come lavorare il ferro, al contempo gli insegna a diventare uomo: «In officina la chiamiamo compressione, che vuol dire addolorare il metallo per addensarlo, come minacciarlo per ridurlo alla giusta compattezza. E vuol dire imparare a subire per fortificarsi, accettare le domande senza temere le risposte, concepire la vittoria anche attraverso le sconfitte»
Quanto ai contenuti, i punti di forza sono tanti e ben noti a chi ha già letto Fois: la profonda conoscenza dell’animo umano, l’obiettività nel descrivere la Sardegna e il suo popolo, la notevole consapevolezza della Storia.
Quella narrata è una storia tristissima, di quelle che fanno venire un nodo in gola che poi è difficile sciogliere anche quando si chiude la copertina. È una storia che trasuda rassegnazione e, in questo, somiglia ad altre vicende già narrate, forse perché – come scrive l’autore – «il dolore si coniuga come un verbo difettivo, cambia radicalmente, ma è sempre, ostinatamente uguale».
Michele Chironi impara sulla sua pelle che il benessere economico ha un prezzo che non si può pagare in denaro e attira il male come una calamita. Capisce presto che laddove la sfortuna non mette il dito, c’è l’invidia dell’uomo a fare, senza parsimonia, la sua parte, perché «la felicità non piace a nessuno che non ce l’abbia».
Nonostante il titolo, però, Stirpe non è solo una saga familiare: è anche un ritratto dell’Italia dal primo Novecento agli anni bui del Ventennio, passando per il dramma della Prima Guerra mondiale. È la grande Storia raccontata in modo anticonvenzionale, perché il punto di vista è quello di chi osserva, per così dire, dal buco della serratura. Dice bene l’autore: «Sono le briciole del banchetto quelle che si devono mangiare in questa fetta di mondo ma, a ben guardare, e ben assaporare, da queste briciole si possono capire tante cose»
Fois ha sempre qualcosa di interessante da dire per cui anche questo romanzo, seppure non eccellente, merita di essere letto.
Marcella Onnis