Piante officinali e biodiversità, risorse per Ussaramanna e non solo
di Marcella Onnis
Venerdì scorso, 15 aprile 2016, con il convegno “La filiera delle piante officinali tra biodiversità e innovazione” ha preso avvio a Ussaramanna la 32^ Mostra delle erbe. Dopo aver ringraziato l’ideatore della Mostra Dino Zedda e la dott.ssa Maria Bonaria Selenu, fondamentale per l’organizzazione della conferenza, il sindaco Marco Sideri ha spiegato l’obiettivo specifico dell’incontro: «creare una nuova opportunità, quella della filiera delle erbe officinali» e avviare un percorso che non si fermi a questo tradizionale appuntamento annuale. «Se i piccoli centri non si caratterizzano per qualcosa di specifico, è difficile “vendere il prodotto”» ha spiegato il Sindaco, convinto che Ussaramanna possa giocare proprio la carta delle erbe officinali, diffuse nel suo territorio. Perché quest’idea abbia successo, però, è necessario fare rete con gli altri comuni della Marmilla, seguendo quel percorso virtuoso che – ha ricordato – è già stato testato con la manifestazione “Sapori d’autunno”. Dello stesso avviso l’assessore comunale alla Cultura e Turismo Giovanna Carletti: «Ogni paese ha delle particolarità, ma nessuno va avanti da solo». Per l’assessore, Ussaramanna dispone di una risorsa notevole e ancora sottovalutata: il paesaggio, in cui spiccano gli oltre mille ulivi plurisecolari, tutti censiti e persino studiati dal CNR. Secondo un’idea dallo stesso Assessore definita ambiziosa, anche questi ulivi potrebbero dare vita a una filiera specifica. L’Amministrazione comunale ha anche altre idee per valorizzare questo patrimonio paesaggistico, ad esempio un progetto di ecomuseo – in parte già operativo con un laboratorio scientifico – «per una nuova gestione del territorio», che è «cultura, storia e risorsa» ha rimarcato l’assessore Carletti. Sarebbe, tuttavia, necessaria – ha proseguito – un’associazione di produttori che favorisca lo scambio culturale e che consenta di migliorare il prodotto, così da aumentarne le vendite: una convinzione che, nel corso del convegno è stata da più parti ribadita. Un’altra risorsa del territorio è la terra cruda, al cui Circuito appartiene anche Ussaramanna e alla quale è stato dedicato ampio spazio nel programma della Mostra. In proposito, l’Assessore ha espresso l’auspicio che siano salvaguardate le case di Ussaramanna che sono state costruite con il mattone in terra cruda (su làdiri) e che ancora resistono all’usura del tempo.
SARDI DISUNITI? SÌ, MA NON TROPPO – Breve ma efficace l’intervento di Gianpaolo Demartis, etnobotanico dell’Associazione Calarighe, che ha illustrato la “filosofia” del suo lavoro e, quindi, degli appuntamenti che l’avrebbero visto protagonista il giorno seguente (un’escursione naturalistica e un laboratorio di erboristeria popolare sarda). Ciò che lui fa, ha spiegato, è riproporre quanto imparato sulla medicina sarda da sua nonna e da altri anziani. Raccogliere questo patrimonio non è stato semplice, ha raccontato, perché ogni paese ha i suoi preparati a base di erbe e le sue ricette, ma è comunque riuscito a tirare le fila e questo lavoro di ricerca, rielaborazione e, oggi, divulgazione gli ha pure insegnato due cose importanti sui sardi. La prima è che «abbiamo sempre l’attitudine a non credere in noi stessi», mentre la seconda è una deduzione ricavata dalle sue ricerche: ogni ricetta per ricavare gli oleoliti dalle piante prevede, a fine lavorazione, venti minuti di massaggio del preparato, un gesto di cura che ha portato Demartis a concludere che «è vero che noi sardi siamo disuniti, ma quello che ci unisce è l’amore».
LA BIODIVERSITÀ: UNA GRANDE RISORSA – A portare nel vivo il convegno è stato il moderatore, il dott. Bruno Satta di Laore Sardegna, l’Agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale. Prima di cedere la parola al primo relatore, il dott. Satta ha evidenziato che «la Sardegna e la Sicilia sono i principali poli del Mediterraneo per la presenza di piante officinali endemiche» e che la prima ne conta 397 classificate, di cui 159 esclusivamente presenti nel suo territorio.
Nel primo intervento. la dott.ssa Paola Ugas, agronoma dell’Agenzia Laore, ha parlato del “ruolo delle comunità di tutela per il recupero e la salvaguardia della biodiversità spontanee e coltivate”. La biodiversità (di specie; genetica; di ambienti o ecosistemi; culturale) è «l’insieme delle forme viventi presenti in un determinato ambito» e, ha aggiunto, costituisce «una ricchezza, perché consente anche di governare gli imprevisti». In più, «se collegata a un territorio, consente di presentarlo all’esterno»: la biodiversità, soprattutto quella culturale, può, cioè, diventare per una comunità un elemento in cui riconoscersi e con cui farsi riconoscere. Tale importanza è riconosciuta anche a livello normativo, in particolare dalla legge n. 194/2015 e, ancora prima, dalla legge regionale n. 16/2014. Quest’ultima, all’art. 10, disciplina la figura dell’agricoltore custode (che “provvede alla tutela e conservazione in situ delle razze e varietà locali, ritenute di interesse, rare o a rischio di estinzione”) e istituisce il relativo registro regionale.
È, però, l’art. 12 a costituire per la dott.ssa Ugas il «cuore della legge» in quanto istituisce le “comunità di tutela della biodiversità agraria, della cultura, qualità e sicurezza alimentare”: tali comunità, ha spiegato, «diventano punto di riferimento dove tutti possono dare un contributo, se vi si riconoscono». L’agenzia Laore, però, ha iniziato già prima dell’approvazione di tale norma a lavorare con comitati di tutela e valorizzazione della biodiversità, legati a un territorio (ad esempio la Trexenta) o a un determinato prodotto (quale il grano cappelli). Nel corso di queste esperienze, ha raccontato la relatrice, si sono resi conto che c’è un notevole interesse per le ricette a base di erbe e per la possibilità di introdurle nelle strutture ricettive locali: «la sfida è fare in modo che quelle ricette in cui la comunità si riconosce diventino patrimonio da proporre negli eventi e una storia che il gruppo di tutela può raccontare». Il frutto di questo lavoro è oggi fruibile attraverso un sistema di comunicazione multicanale che include un’app denominata Kent’Agros. Grazie a questo sistema, Laore ha anche potuto appurare che le ricette a base di erbe sono sorprendentemente più ricercate delle informazioni su vini e formaggi tipici. Dunque, ha concluso la dott.ssa Ugas, una filiera delle erbe spontanee per usi culinari potrebbe risultare un progetto economicamente forte.
LE POTENZIALITÀ DELLE ERBE OFFICINALI – La dott.ssa Maria Bonaria Selenu, farmacista e cosmetologa, si è, invece, concentrata sulle erbe officinali sarde e sui loro usi. Per esempio, la senape selvatica è ottima in cucina ma utile anche per curare le vesciche e per altre cure dermatologiche, mentre di recente si è scoperto che il rosmarino può stimolare la crescita dei capelli.
O, ancora, la borragine – molto diffusa in Marmilla – può essere usata in varie ricette ma anche nella fitocosmesi e nella farmaceutica. La ferula, invece, può essere impiegata per costruire seggiole, sgabelli e altri pezzi di arredamento; nelle specie non tossiche ha proprietà curative e ha persino un utilizzo magico, in particolare per riti contro la siccità. Anche la dott.ssa Selenu ha rimarcato le opportunità che questo mercato può offrire alla Sardegna, precisando, però, che occorre fare i conti con uno scenario fortemente competitivo in cui domina il Nord Italia. A suo parere, dunque, per ritagliarsi un proprio spazio occorre puntare su «piccole produzioni destinate a realtà locali» oppure su «una filiera con una produzione specializzata» che garantisca grandi quantitativi di qualità da fornire a grossisti e industrie. Le prospettive di guadagno, a suo parere, sono concrete perché il consumo di queste erbe è in aumento, ma altrettanto non vale per la coltivazione. Occorre, quindi, acquisire la «consapevolezza dell’importanza di coltivare per trasformare», tenendo però presente che «per fare cose grandiose gli imprenditori agricoli devono unirsi» e che «non bisogna improvvisarsi». Per avere risultati soddisfacenti serve, cioè, avere obiettivi chiari e appoggiarsi a un team di esperti, non solo dell’uso delle erbe ma anche della normativa, compresa quella fiscale. Se, infatti, alcune attività (come la produzione di erbe per tisane, infusi e simili) richiedono il rispetto di pochi requisiti, altre (produzione di oli essenziali, tinture, pomate, capsule, …) sono soggette a più prescrizioni la cui violazione è punita con sanzioni severe. La dott.ssa Selenu ha anche fornito esempi di produzioni che potrebbero rivelarsi proficue, come quella di matite da trucco: nessuna azienda italiana le produce ed esse possono essere realizzate con varie erbe presenti in Sardegna. Per l’esperta di erbe officinali, quindi, «la carta da giocare è coltivare per trarre profitto» ma anche «per conservare la biodiversità e per valorizzare l’identità del territorio». In conclusione, si è così raccomandata a tutti: «Dobbiamo rispettare la natura e lei ci ricambierà con il dono della vita».
LA FILIERA DEL MIRTO – Il prof. Maurizio Mulas dell’Università di Sassari ha parlato degli usi di una particolare erba officinale: il mirto, ormai diventato «una pianta quasi identitaria», «un prodotto che si vende molto bene da solo, grazie alla sua nomea». Con lo sviluppo di questo mercato, la raccolta spontanea rischiava di non essere più sufficiente a coprire il fabbisogno (attualmente stimato in circa 5.000 quintali di frutto), anche perché la resa annuale è aleatoria, per cui è cominciata l’attività di coltivazione. Il mirto, però, cresce solo in presenza di determinate caratteristiche del terreno e del clima, in più, ha tanti “nemici”, quali incendi, animali erbivori e uccelli, urbanizzazione, siccità e raccoglitori di frutta improvvisati. L’esperto ha spiegato che per salvaguardare le risorse naturali è necessario, dal punto di vista scientifico, conoscerne la consistenza, studiarne la capacità di rigenerazione (buona per il mirto) e conoscerne la filiera (attori, funzionamento ed elementi di criticità). Una delle maggiori criticità della filiera del mirto è la raccolta perché – ha fatto presente il prof. Mulas – non esiste una legge regionale che istituzionalizzi la figura dei raccoglitori e che regoli i rapporti tra questi e i proprietari terrieri: tale vuoto normativo ha, quindi, determinato un fiorire di regolamenti comunali totalmente divergenti tra loro e oscillanti tra l’estrema restrittività e l’estrema permissività. Sarebbe, pertanto, necessario che «la Regione riconoscesse la categoria del raccoglitore e lo tutelasse nei confronti degli altri attori all’interno di un sistema di qualità certificata». Anche i coltivatori, però, dovrebbero essere protetti nei confronti delle aziende che richiedono la materia prima e che, peraltro, sono le uniche a determinarne il prezzo: a suo parere, sarebbe utile che i coltivatori si aggregassero, anche per garantire la qualità del prodotto. La scarsa aggregazione, peraltro, riguarda pure le aziende di trasformazione, ha fatto notare il relatore, per il quale servirebbe anche «un’entità super partes» che equilibri i rapporti tra le parti e funga «da raccordo con il mondo della ricerca e dell’innovazione».
LE AGEVOLAZIONI FINANZIARIE – In Sardegna, quella del mirto è l’unica filiera compiuta nel settore delle erbe officinali, ha rimarcato il dott. Angelo Zanda dell’agenzia Laore, che l’ha anche indicata come modello da imitare. Per chi volesse tentare questa strada, è utile sapere che esistono varie agevolazioni finanziarie, in parte illustrate dal dott. Zanda durante il convegno. Oltre che sulle agevolazioni dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) – che riguardano anche l’acquisto di terreni da parte di giovani agricoltori – e della Politica agricola comune (PAC), gli imprenditori sardi possono contare sulle opportunità offerte dal Piano di sviluppo rurale (PSR) 2014/2020, strumento con cui la Sardegna attua una parte degli obiettivi della PAC. Il PSR, cofinanziato da Unione europea, Stato e Regione, è articolato in una serie di misure, attuate tramite bandi per il finanziamento di interventi che in buona parte possono interessare anche il settore delle erbe officinali. I nuovi bandi, di prossima pubblicazione, includeranno, ad esempio, agevolazioni per i giovani imprenditori agricoli, anche con l’obiettivo di promuovere il ricambio generazionale (l’età media dei lavoratori in questo campo è, infatti, piuttosto elevata). Dal dott. Zanda è stato anche possibile apprendere, in proposito, non solo che i giovani hanno ripreso a interessarsi al settore, sia come studenti sia come lavoratori, ma anche che l’agricoltura ha registrato un incremento dell’occupazione in un quadro di generale calo.
Avviare un’attività imprenditoriale – in questo come in altri settori – non è semplice, ma al momento innovare e rischiare sembrano essere le uniche chiavi per sbloccare questa situazione di stallo. E gli spiriti intraprendenti della Sardegna ora sanno che dalle erbe officinali potrebbero arrivare soluzioni per dare una svolta positiva al futuro proprio e delle loro comunità, spesso a rischio di estinzione.