Più cultura per prevenire le malattie respiratorie causate da fumo e inquinamenti atmosferici

Caterina Bucca

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Fabio BeatriceTra gli argomenti sul “banco degli imputati” il Tabagismo: dalla cessazione alla riduzione del rischio, trattato dal dott. Fabio Beatrice (nella foto), otorinolaringoiatra, chirurgo maxillo-facciale e responsabile del Centro Antifumo all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Il relatore ha subito ricordato che i tumori capo-collo dipendono non solo dall’alimentazione ma anche e soprattutto dal tabagismo, ossia il vizio del fumo di sigarette (e/o sigari e pipa), tant’è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) rende noto, anche se sembra scontato, che per la lotta al fumo la prevenzione è la principale azione difensiva. «Le posizioni sul fumo – ha spiegato – in questi ultimi decenni si sono molto evolute: secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) 11,5 milioni di persone in Italia (22%) risultano essere fumatori, e questo vizio voluttuario produce circa 80 mila morti all’anno contro i 1.500 per cause di lavoro e i 3.000 per incidenti stradali. Per smettere di fumare esistono tuttavia delle linee guida, ed è soprattutto utile il consiglio del proprio medico che, purtroppo, viene meno a questo ruolo perché è spesso oberato da incombenze burocratiche. Il consiglio del medico, l’intervento strutturato degli infermieri, un colloquio individuale, una terapia di gruppo ed una eventuale somministrazione di farmaci, sono comunque notevoli supporti per aiutare chi vuole smettere di fumare…». Ma allo stato attuale cosa si fa per questi 11,5 milioni di persone “autolesioniste”? Nel nostro Paese sono oggi disponibili 336 Centri Antifumo di cui 307 a cura del SSN, ma i fumatori che si rivolgono a questi Centri sono meno di 16 mila (0,1% del totale), e forse questa “scarsa adesione” dipende in parte dai medici in quanto, secondo il dott. Beatrice, talvolta non sono in grado di fare proposte propositive e/o integrative tanto da responsabilizzare maggiormente il fumatore. Evidentemente smettere di fumare non piace, specie per il fumatore accanito, perché manca una caratteristica che è la compliance ricevente, ossia la capacità di accettare il consiglio del medico giacché la Medicina è una disciplina di aiuto. Il clinico ha fatto riferimento al Progetto Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), avviato nel 2005 come sperimentazione di metodi utili per la sorveglianza dei fattori comportamentali di rischio e per il monitoraggio dei programmi di prevenzione delle malattie croniche; è un progetto del Ministero della Salute e delle Regioni/P.A. che ha l’obiettivo di mettere a disposizione di tutte le Regioni e Aziende sanitarie locali (Asl) del Paese una sorveglianza dell’evoluzione di questi fenomeni nella popolazione adulta con una peculiarità unica: tarare questo strumento soprattutto per un utilizzo dei dati a livello locale, direttamente da parte di Asl e Regioni. Ma perché la sigaretta fa così male? L’effetto negativo è dato dal processo di combustione (400°-1000° gradi): si liberano agenti ossidanti (catrame, nicotina, monossido di carbonio) che determinano tumori e danni polmonari, oltre ad infarti ed ictus e questi ultimi sono causa di 24 mila decessi/anno in quanto il danno alle arterie è causato dal catrame che altera la superficie dei vasi con la conseguente formazione di trombi tali da ostacolare la normale circolazione del sangue.

libro Fabio Beatrice«Se la tossicità della sigaretta tradizionale influisce non poco – ha aggiunto il clinico – la tossicità del fumo elettronico o alternativo influisce meno, una sorta di abitudine “sana” in quanto è intesa come fumare in forma meno tossica, anche se in realtà non serve a smettere di fumare… tradizionalmente». La sigaretta elettronica (detta anche e-cigarette o e-cig), il cui primo vero brevetto risale al 1965, è un dispositivo elettronico nato con il fine di fornire un’alternativa al consumo di tabacchi lavorati che ricalchi le mimiche e le percezioni sensoriali di questi ultimi, ed è usata per diminuire la dipendenza e l’uso di sigarette, pipe e sigari tradizionali. Ma poiché la maggioranza dei fumatori che vogliono smettere non vi riescono, è possibile aiutarli?

«Fumare – ha spiegato e concluso il dott. Beatrice – è una dipendenza che dà piacere, quindi si tratta di rinunciarvi in cambio di nulla e, per smettere realmente di fumare, occorre un cambiamento che necessita un percorso dovendo recuperare la capacità del cervello di controllare i centri del piacere, ed è riduttivo che suggerimenti di “altra natura” possano sortire un effetto… Da parte di un Centro Antifumo, per sostenerne la cessazione, bisogna capire la situazione clinica del fumatore e l’entità della sua motivazione a cambiare, prospettandogli una strategia per lui accettabile, anche se ciò richiede del tempo». Un contributo alla corretta informazione per smettere di fumare è dato dalla pubblicazione “101 motivi per non fumare” (Ed. Guerini, 2012) a cura dello stesso dott. Beatrice e della giornalista Johann Rossi Mason. Il libro, come si legge in un passo della presentazione, non propone una soluzione facile o una scorciatoia per smettere di fumare, e non è nemmeno un testo contro i fumatori… Racconta in maniera accessibile di come il fumo interferisca negativamente sul 95% degli apparati del nostro organismo, e svela effetti poco noti rispetto all’intelligenza, al comportamento, all’estetica, alle relazioni, alle performance sessuali, e alla possibilità di avere bambini e alla garanzia che nascano sani.

Caterina BuccaMa sono anche altre le cause di danno al nostro organismo, sulle quali è intervenuta la prof.ssa Caterina Bucca (nella foto), specialista in Medicina Interna, Tisiologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università di Torino, che ha trattato il tema Malattie delle vie aeree e stili di vita. «Facciamo i conti non solo con il fumo – ha esordito – ma anche con l’aria che respiriamo a causa soprattutto dell’industrializzazione, in quanto produttrice di sostanze gassose e particolate e che hanno una tossicità tale da “condizionare” il nostro sistema respiratorio. Respiriamo particole che costituiscono materiali trasportati dall’aria quale conseguenza di emissioni di polveri, fumi, fuliggine e quant’altro». I riferimenti sono al particolato sospeso che è costituito dall’insieme di tutto il materiale non gassoso in sospensione nell’aria. Il rischio sanitario legato alle sostanze presenti in forma di particelle sospese nell’aria dipende, oltre che dalla loro concentrazione, anche dalla dimensione delle particelle stesse. «Le particelle di dimensioni inferiori – ha spiegato la relatrice – costituiscono un pericolo maggiore per la salute umana, in quanto possono penetrare in profondità nell’apparato respiratorio. Approssimativamente: le particelle con diametro superiore ai 10μm (micrometri) si fermano nelle prime vie respiratorie, le particelle con diametro tra i 5 e i 10 μm raggiungono la trachea e i bronchi, le particelle con diametro inferiore ai 5 μm possono raggiungere gli alveoli polmonari». Nell’agglomerato urbano i veicoli a motore sono responsabili del 70-80% dell’inquinamento dell’aria che respiriamo. In effetti l’inquinamento è la maggior causa ambientale di malattie e morti premature (9 milioni all’anno), soprattutto tra i soggetti poveri ed emarginati, oltre all’infanzia. Fattori che influenzano le dosi di particelle inalate sono quelli individuali: pazienti con bronco- pneumopatia-cronico-ostruttiva (BPCO), asma bronchiale, enfisema e altre malattie dell’apparato respiratorio; ma anche l’incapacità di detersione delle vie aeree favorisce maggiormente l’inalazione di inquinanti. I sintomi di queste inalazioni sono irritativi delle vie aeree, tosse, ipersecrezione di muco (catarro) tali da ripercuotersi sulla funzione respiratoria. L’inquinamento atmosferico, inoltre, ha un costo molto elevato per la morbilità e la mortalità a causa delle malattie respiratorie non trasmissibili. Cosa fare, dunque, per arginare il problema? «Se si investisse anche un solo dollaro per la riduzione degli inquinanti atmosferici – ha suggerito la relatrice – si prevedrebbe un possibile miglioramento della salute e quindi un beneficio economico. La rimozione del piombo dalla benzina (1975), ad esempio, ha prodotto la riduzione della concentrazione di piombo nel sangue della popolazione, cui è seguito l’aumento della capacità cognitiva nei bambini ed un altrettanto conseguente notevole beneficio economico». In effetti, un programma di prevenzione dell’inquinamento atmosferico dovrebbe rientrare in una adeguata pianificazione del Paese. L’impatto degli inquinanti sull’uomo dipende dalla zona di produzione degli inquinanti e dalla loro dispersione. Le grandi sorgenti localizzate lontano dai più grandi centri abitati, disperdono nell’aria a grandi altezze, mentre il riscaldamento domestico ed il traffico producono inquinanti che si liberano a livello del suolo in aree densamente abitate. Come conseguenza, le sorgenti mobili e quelle fisse di piccole dimensioni contribuiscono in modo maggiore all’inquinamento dell’aria nelle aree urbane e attentano alla salute pubblica molto di più di quanto non si potrebbe supporre facendo un semplice confronto quantitativo fra i vari tipi di emissioni. Ma non solo. Secondo la relatrice un programma di prevenzione dovrebbe prevedere la riduzione delle fonti di riscaldamento, limitare gli spostamenti per il lavoro, limitare l’inquinamento domestico (ad esempio sostituire le stufe a pallet), areare costantemente gli ambienti avendo cura di non avvalersi di arredi che contengono formaldeide in quanto incrementerebbero l’atmosfera di esalazioni, pulire gli impianti di condizionamento, etc. La prof.ssa Bucca è andata oltre suggerendo di alimentarsi con cibi antiossidanti al fine di incrementare le difese immunitarie, esporsi al sole più sovente… per quanto possibile. È bene, infine, combattere anche l’obesità in quanto la stessa favorisce le apnee notturne, abolire l’assunzione di droghe (eroina e cocaina in particolare) che, se inalate, possono causare gravi malattie respiratorie.

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