Più cultura per il rispetto delle donne
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
In tema di umanità, e in particolare per quanto riguarda la figura della “Donna” in tutti i suoi contesti (umani, psicologici e sociali) si vanno proponendo un po’ ovunque iniziative di carattere culturale volte per lo più alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Un intento che richiama il rispetto della dignità della donna, di qualunque etnia e ceto sociale di appartenenza. Su queste basi l’associazione di volontariato la Banca del Tempo di Nichelino (To), in occasione della Giornata Nazionale Le Banche del Tempo nell’attuale fase di cambiamento, ha organizzato nei giorni scorsi nella ex sede del Consiglio Comunale di Nichelino una conferenza pubblica sulla Cultura per il rispetto delle donne, che ha visto la partecipazione di un folto pubblico maschile e femminile. Nel fare gli onori di casa, l’assessore alle Pari opportunità Gabriella Ramello, ha rammentato l’atavica cultura patriarcale ovvero, la storiografia di genere ricca di episodi della vita femminile con particolare sguardo anche sul mondo ed ai suoi accadimenti. Un breve excursus a “risveglio” della memoria: del lavoro femminile, della religiosità e del concetto di famiglia, non privi di quella sudditanza in segno di rispetto ed osservanza i cui preziosi raccordi tra il passato ed il presente, costituiscono per le donne una possibilità di identificazione e assunzione di valore per dire: «esistevo anch’io ed ancora oggi ci sono». La relatrice non ha tralasciato l’esistenza della narrativa ricca di profili memorabili di donne e del loro mondo estorto con notevoli sacrifici a quello dominante. Riflessioni che la Ramello ha voluto trasmettere al pubblico con il proposito di un proprio impegno nella difesa della dignità della donna, anche attraverso iniziative meramente politico-culturali. Ermina Ruggeri e Aurora Tesio, rispettivamente presidente della Banca del Tempo (sezione di Nichelino) e presidente delle Banche del Tempo della Città Metropolitana, hanno ripercorso le tappe della associazione, ricordando i principi fondamentali sulle basi della reciprocità dei valori e delle pari opportunità, offrendo una porzione del proprio tempo per lo sviluppo delle relazioni tra persone per superare l’isolamento, la solitudine, la diffidenza, l’indifferenza di cui soffre la nostra società, ma anche contribuire a ricreare i rapporti di buon vicinato, cercando di costruire una rete di mutuo-aiuto solidale tra gruppi di persone. Una sorta di sfida quotidiana affinché la propria vita non sia una… perdita di tempo!
Sul superamento degli stereotipi e dei pregiudizi come fattore di prevenzione nel promuovere la cultura del rispetto è intervenuta Marina Annunziata, psicologa esperta in tecniche di intelligenza emotiva e mindfulness, estendendo il suo concetto al rispetto non solo della donna ma dell’intero scibile umano in qualunque contesto sociale. «Il concetto del rispetto a livello teorico – ha spiegato – è in apparenza semplice, ma nel corso della vita dell’individuo sono da considerare stereotipi e pregiudizi che condizionano e ostacolano il “processo educativo”. Anche se uomini e donne si comportano in modo diverso, tale diversità non è strettamente dipendente dalla differenza biologica, ma è il prodotto dei modi di pensare e comportarsi appresi durante lo sviluppo; ed eliminare gli stereotipi, in assenza di qualità maschili e femminili, non significa proporre eroine bambine ad immagine e somiglianza degli eroi di sesso maschile…». Secondo la relatrice, ma anche per obiettiva razionalità, è importante (se non determinante) promuovere una cultura del riconoscimento della libertà reciproca, e del reciproco rispetto tra uomini e donne. Precisati i concetti di stereotipo e pregiudizio, rispettivamente come visione semplificata e condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo di persone accomunate da determinate caratteristiche; e come “giudizio prematuro”, parziale basato su argomenti insufficienti o su una loro non completa o indiretta conoscenza, la dr.ssa Annunziata ha concluso che «per promuovere una cultura del rispetto e prevenire e arginare la violenza di genere, è necessario identificare e criticizzare questi stereotipi garantendo pari opportunità; ovvero, promuovere una cultura del riconoscimento della libertà e del reciproco rispetto tra uomini e donne… educare alla affettività affinché la famiglia, la scuola e tutti i “protagonisti” che le compongono, possano diventare contesti privilegiati contribuendo alla crescita della cultura delle Pari opportunità». Una consapevolezza che dovrebbe essere propria di tutti, a cominciare soprattutto dai giovani.
Relativamente al mio intervento, quale co-relatore in programma, dopo un breve tratto storico sugli “sforzi” della donna per entrare nel mondo accademico e della Medicina in particolare, sia in Europa che in Italia, ho posto l’attenzione sul malessere della società attuale, il quale andrebbe visto in un’ottica più razionale con finalità di determinata e concreta prevenzione. L’escalation dei crimini in genere, e nei confronti delle donne in particolare, non può che contribuire ad alimentare amarezza, sdegno e inquietudine nelle persone per bene. Anche se la psiche umana è ancora avvolta in un mistero e che nessun esperto ha sinora saputo spiegare in modo razionale ed univoco il suo funzionamento, non vanno trascurati certi messaggi prodotti dai mass media come filmati e spot pubblicitari, la cui trama è spesso violenta e allusiva… Con l’intento di contribuire a fare un po’ di luce su questo argomento ho spiegato che, a mio parere, si può continuare a riconoscere titoli onorifici od assegnare targhe, medaglie o pergamene ed encomi alle vittime delle tristi esperienze, oppure organizzare interminabili fiaccolate e processioni, ma tali riconoscimenti od iniziative popolari (per quanto lodevoli) purtroppo non potranno cancellare in alcun modo il torto subito, od aver funzione lenitrice… se non anche preventiva. La vera solidarietà sta nella dimostrazione di agire in modo più concreto e determinante con la “vera” prevenzione (resta da stabilire quale e come) e, in ultima analisi, con la certezza delle pene per i responsabili di lesioni fisiche e psicologiche. «Anche se la cosa più difficile del mondo – affermava un saggio – è sapere come si fa una cosa, osservare qualcuno che la fa nel modo sbagliato e non dire una parola di commento». Recepire anche questo “lapidario” aforisma è indice di altrettanta consapevolezza nell’acquisire e far tesoro dell’esperienza del momento e per il futuro.