PIÙ LAUREATI MENO OCCUPATI
Necessaria una seria politica di revisione delle competenze e dei meriti… anche nei confronti dei non titolati. Solo così si potrebbe risalire la china.
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Da anni, un po’ ovunque, imprenditori di piccole, medie e grandi industrie lamentano il fatto di non trovare candidati da assumere. Eppure i settori in questione sono i più diversi, ivi compresi commercio e artigianato. Nello stesso tempo le Università sfornano ogni anno un certo numero di laureati in varie Discipline, ma anche in questo ambito i neo laureati rischiano di restare (per un po’) dei disoccupati perché, da quanto si apprende dal Bollettino del Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per le aziende piemontesi, ad esempio, pare che il titolo di Laurea non sia più indispensabile; come dire che si intende assumere “pura manovalanza” e personale specializzato. Per contro, pare che il laureato all’estero sia maggiormente considerato. Ma come sempre l’Italia è il Paese delle assurdità e delle incongruenze. Un tempo i nostri padri ci esortavano a studiare per avere un diploma o addirittura un laurea e potersi così sistemare inseguendo ulteriori ambizioni, diversamente ci saremmo dovuti accontentare di un più “modesto” lavoro, magari a fronte di fatica fisica e di minor benessere…. Ma come è giusto ribadire, ogni mestiere-professione è nobile e quindi da ritenersi tale, specie se esercitati con passione e umiltà; ma stando alle esigenze delle imprese piemontesi, come si fa a pretendere di assumere candidati con esperienza se non hanno mai lavorato in questo o quel settore? Del resto chi ha un’esperienza di solito è già occupato e difficilmente lascia il posto se non per esigenze di miglioria professionale ed economica. Sempre secondo questo report, a cercare dipendenti sono in particolare le micro imprese seguite da quelle di medie dimensioni, mentre quelle più grandi richiedono ancor meno candidati. Ma nello specifico sono maggiormente i servizi ad aver bisogno di personale, in particolare quelli alla persona, seguiti da turismo e commercio; mentre l’industria ha “meno esigenze” segnando un sensibile calo dell’offerta. In tutti questi contesti, dal più al meno, mancano candidati ma in merito a ciò bisogna considerare che per svolgere un mestiere e una professione bisogna avere una certa attitudine: è deleterio fare un lavoro per il quale non si è portati e tanto meno se non si è idonei, con immaginabili conseguenze. A fronte di queste “discrepanze”, peraltro aggravate dal periodo della pandemia, non mi pare essere imbastita una certa razionalità, in quanto a mio avviso sarebbe utile fare un censimento-colloquiale magari con test psico-attitudinali per individuare competenze e predisposizioni dei candidati. Ricordo che un tempo i mass media tra le rubriche avevano quella dedicata a “Cercasi lavoro” e “Offresi lavoro”, e nella maggioranza dei casi portavano a buoni risultati di occupazione; inoltre chi voleva aprire una attività commerciale doveva avere determinati requisiti, come ad esempio l’aver superato un piccolo esame di idoneità. Ma poi, si sa, le varie crisi hanno inflazionato e ridimensionato il mercato del lavoro e relative esigenze, anche perché la sempre estesa e sofisticata tecnologia ha ridotto di molto il bisogno di avere del personale, sia in ambito pubblico che privato; ad esempio, molti artigiani (come sarti, calzolai, restauratori, edicolanti, librai, etc.), oltre a commercianti, hanno chiuso i battenti. Ma va anche detto che parte delle nuove generazioni, a differenza delle precedenti, non intendono far fronte a sacrifici con pretesa in eccesso, però, di avere subito un guadagno più considerevole anche in considerazione che nel commercio non sempre viene riconosciuta una adeguata remunerazione…
Inoltre, c’è da aggiungere che pur con tutto il rispetto per i laureati a vario titolo, vi sono eminenti autodidatta (spesso sconosciuti e di cui non si tiene quasi mai conto) di comprovate competenze e capacità in alcuni settori come nell’ambito della comunicazione e dell’assistenzialismo. E forse anche per questo è consistente la presenza del volontariato che, paradossalmente, in certi ambiti sottrae concrete possibilità di lavoro, peraltro aggravato dalla presenza del lavoro in nero ed episodi di sfruttamento. Vorrei però rammentare un altro paradosso-assurdità a livello istituzionale in quanto, se ben ricordo, anni fa abbiamo avuto due ministri (donna) a reggere il proprio Dicastero ma privi di un titolo di Laurea, come la razionale esigenza “imporrebbe”, giacché tale titolo solitamente è richiesto per occupare un posto di funzionario o dirigente nella P.A. previo concorso. Ma in più occasioni è dimostrato che vi sono dipendenti della P.A. che non hanno attitudine per il ruolo loro assegnato nonostante abbiano superato il concorso, e questo vale anche nell’ambito del privato dove certi ruoli sono svolti da persone che dovrebbero essere orientate diversamente…, come ripeto ad esempio, nei settori della comunicazione e dell’assistenzialismo, sia ambito pubblico che privato. Ma tornando al problema “più laureati meno occupati”, a mio modesto avviso sarebbe necessaria una “seria e dettagliata” indagine a tappeto, al fine di individuare i candidati da inserire nei settori di loro pertinenza, sia per titolo accademico che non; e tra questi comprese le persone con disabilità che, seppure non molte, sono ancora in attesa di una collocazione obbligatoria peraltro prevista dalla Legge n. 68 del 1999. A questo riguardo alcuni importanti editori, soprattutto in ambito radio-televisivo, da tempo vantano di continuare ad assumere personale senza fare alcuna menzione a soggetti con disabilità…, che forse credono non idonei. Ma questo è un aspetto che meriterebbe un approfondimento a parte, puntando il dito “inquisitore” contro taluni imprenditori privati ed altrettanti della P.A. Ma come sappiamo la politica italiana è per lo più basata sulla irrazionalità e sui paradossi a discapito della necessaria crescita del mercato del lavoro, e soprattutto del rispetto della dignità umana. Quella del lavoratore, si intende!