Il primo permesso premio dopo 24 anni da uomo ombra – 4 parte
Riceviamo e pubblichiamo:
Quando aspetti una risposta che ti può salvare la vita e donare l’amore che ti è mancato per un quarto di secolo, stai disteso sulla branda a fissare il soffitto della tua cella tutto il giorno. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com )
Dopo l’ultima risposta negativa della magistratura di sorveglianza per la prima volta in ventiquattro anni di carcere mi viene voglia di arrendermi, ma non lo fa il relatore della mia tesi di laurea in giurisprudenza, il prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto Processuale Penale dell’Università di Perugia. E come mio difensore mi inoltra al Tribunale di Sorveglianza di Venezia la richiesta di “collaborazione impossibile”.
Da quando sono in carcere ho sempre amato la libertà più di ogni altra cosa al mondo, ma non ho mai barattato la mia libertà con quella di qualcun altro.
E non ho mai usato la giustizia per uscire dal ventre dell’Assassino dei Sogni.
Inaspettatamente il Tribunale di Sorveglianza di Venezia mi “Accerta l’impossibilità da parte di Musumeci Carmelo di un’utile collaborazione con la giustizia in ordine a tutti i delitti oggi in esecuzione”.
E da uomo ombra divento un uomo penombra, con la speranza di rientrare di nuovo dentro la famiglia e la società.
In questi giorni sto pensando che la pena dell’ergastolo è peggiore della morte perché questa dura di meno ed è più semplice.
La morte libera il cuore e l’anima, mentre il carcere a vita te li divora, fino a che non resta più traccia di un essere umano in te.
Credo che la pena dell’ergastolo sia un dolore eterno che non solo fa soffrire chi lo subisce ma umilia tutta l’umanità.
Dopo la condanna il mio cuore aveva subito smesso di vivere, ma non certo di farmi male.
E sinceramente in questi ventiquattro anni di carcere molte volte ho meditato di lasciarmi andare e di appendere il mio collo alle sbarre della finestra della mia cella, perché non vedevo altra via di fuga.
L’ho pensato soprattutto nei momenti di debolezza, quando mi sbattevano nelle celle di punizione e in isolamento. Quando i giorni trascorrevano lenti, giorno dopo giorno senza un libro da leggere e una penna e un foglio di carta per scrivere.
Pensandoci bene credo che se ho continuato a vivere l’ho fatto solo perché non volevo far morire il mio amore con me.
La vita di un ergastolano è sempre terribilmente troppo lunga, invece la morte è a portata di mano e in un attimo ti può dare la libertà, la serenità e la felicità.
Forse molti non sanno che il metodo che normalmente usa un prigioniero per togliersi la vita è semplice. Prepara una fune che può essere presa dalla cintola di un accappatoio o dai lacci delle scarpe o direttamente strappando delle lenzuola.
Poi prepara il cappio.
E lo fa passare intorno alle sbarre della finestra.
Dopo non rimane altro che salire su uno sgabello.
Infilare il cappio in testa.
E farlo scivolare sul collo.
Poi viene la parte più semplice perché non rimane altro che dare un calcio allo sgabello.
Il carcere suscita spesso false speranze, forse per questo ho sempre pensato che non ce l’avrei mai fatta a morire un giorno da uomo libero.
Ed io ci ho pensato tante volte e togliermi la vita.
Molte volte ho persino preparato la fune con il cappio.
E alcune volte sono arrivato persino ad infilarmelo al collo.
Non sono mai riuscito però, per fortuna o per sfortuna, a seconda dei punti di vista, a dare il calcio a quel cazzo di sgabello.
E adesso sono felice di non averlo fatto, perché con la decisione del Tribunale di Sorveglianza sono ritornato a sperare che potrei un giorno uscire senza mettere in cella un altro al posto mio.
(Continua)
Carmelo Musumeci