Quale cinema ci aspetta in futuro? Ce ne parla il regista Piero De Luca


Dopo la morte di Mario Monicelli il cinema italiano ha perso uno dei registi che ha fatto la storia della cinematografia tradizionale. Il cinema attuale si affaccia verso orizzonti diversi che spesso fanno capo al marketing e all’audience, ma c’è chi ancora crede nel cinema come arte e come sogno. Noi abbiamo avuto l’occasione di conoscere un giovane regista che nei suoi lavori mette anima e passione: stiamo parlando del bagherese Piero De Luca, che domenica 12 dicembre alle 21, nei locali di Palazzo Cutò, a Bagheria, è stato protagonista della manifestazione culturale “Linea di Confine” organizzata dall’associazione culturale Visionart e patrocinata dal Comune di Bagheria, Assessorato allo Spettacolo.
Una serata molto interessante, alla quale hanno presenziato, oltre a Piero De Luca, il direttore della fotografia Michele Ducato, i musicisti Marcello Salamone e Davide Lopes (Sogno Lucido), gli attori Angelo Duro, Salvatore Gagliano, Giovanni De Luca, Antonino Passarello, Antonella Rizzo, Valentina De Luca, Marco La Corte, Erika Ribaldo, Emanuele Meli e Giusy Fabio, Salvatore Vitale, Giuseppe Marchesini, Marco Avellone, il pittore bagherese Arrigo Musti, il sindaco Biagio Sciortino, l’assessore allo spettacolo Emanuele Tornatore e l’attore Orio Scaduto. Una serata durante la quale sono stati proiettati quattro cortometraggi scritti e diretti dal regista bagherese, prodotti da Visionart.
Il primo cortometraggio proiettato è stato “Il Confine”, realizzato nel 1999 ed interpretato da Angelo Duro, Salvatore Gagliano e Giovanni De Luca, vincitore del Premio Europeo Massimo Troisi. Un film mai proiettato a Bagheria.
Successivamente gli spettatori hanno assistito alle immagini di “Il Senso”, realizzato nel 2006 vincitore del Premio Careas come migliore cortometraggio Nazionale, e a seguire di “Vite a Metà” in una nuova versione rimasterizzata, realizzato nel 2009 in collaborazione con l’ITC Luigi Sturzo di Bagheria ed ispirato alle opere dell’artista bagherese Arrigo Musti (tra le altre cose co-sceneggiatore del film) vincitore del Premio Careas come migliore Regia, Migliore soggetto e migliore interpretazione (Marco La Corte). L’ultimo lavoro proiettato è stato “Il Dono”, il nuovo nato tra i film di De Luca.

I quattro cortometraggi hanno un filo conduttore che li accomuna, una sottile linea di confine tra la realtà e la fantasia, tra ciò che è concreto e ciò che è astratto. In ogni film si nota infatti la sovrapposizione, voluta, tra dimensioni parallele che sostengono la trama principale in maniera del tutto inaspettata, quasi a volere sfidare l’esito finale del film stesso. La domanda che si sono posti gli spettatori, infatti, è stata: ma i personaggi esistono davvero?

Ma c’è dell’altro: la disperata ricerca del senso della vita.

Una ricerca che lo spettatore sente dentro di se proprio nel momento della visione. Per questo, a coloro che non sono riusciti a partecipare, consigliamo caldamente la visione.

Noi abbiamo incontrato Piero per farci dare un quadro di quello che per lui è oggi il mondo del cinema.

–          Piero, da quanto tempo ti occupi di cinema?
Il primo cortometraggio l’ho realizzato all’età di 13 anni. Ora ne ho 36. Si trattava di film molto amatoriali. Il primo vero ed importante riconoscimento arriva nel 1999 con “Il peso del dolore”, mediometraggio che si aggiudica il premio per il miglior soggetto nazionale al premio nazionale Massimo Troisi.

– Questo tuo ultimo lavoro è figlio del cinema tradizionale o innovativo?
Credo di essere molto tradizionalista nel mio genere anche se adoro la sperimentazione. Nei miei pensieri, quando immagino un soggetto, lo vedo semplice, razionale e coerente. La magia della sperimentazione si concretizza in seguito, è una fase che prende vita già sul set, durante le riprese e si materializza fino a diventare quasi costante, in fase di post produzione. Mi piace curare i miei lavori, dalla stesura del soggetto all’ultima fase del montaggio. Per fortuna sono circondato da un gruppo di collaboratori professionisti che mi sostengono in qualsiasi progetto. Penso che ne “Il Dono” ci siano entrambe le valenze cinematografiche, tradizionale e innovativo.

-Dopo la morte di Mario Monicelli, emblema del cinema tradizionale, secondo te va a morire anche quel tipo di cinematografia classica?
Mario Monicelli è stato un grande maestro, sublime ispiratore anche per altri autori. Penso che ogni regista abbia qualcosa che appartenga soltanto a lui stesso. Non esiste una regia identica all’altra. Tutti si contraddistinguono per particolari o caratteristiche. Monicelli era unico nel suo genere, tradizionale ma con un occhio rivolto al futuro. La morte di Monicelli lascia un vuoto incolmabile nel cinema tradizionale italiano.

-Esistono ancora registi un po’ vecchio stampo? Il pubblico richiede ancora quel tipo di film?
Non penso proprio. I registi “vecchio stampo” oramai si stanno adattando al cinema moderno in quanto la gente non richiede più quel genere di cinema. Soltanto i cultori del genere saprebbero apprezzare un nuovo avvento del cinema d’altri tempi e coglierne le citazioni.

-A che tipologia di film la società odierna, secondo te, è più propensa a vedere?
Oggi il cinema è diventato esclusivamente sinonimo di commercio. La stragrande maggioranza degli spettatori va al cinema o per la spettacolarità degli effetti speciali (nello specifico l’avvento del 3d) o perchè vuole ridere. Ne è dimostrazione l’incasso al bottegghino. Il cinema oggi DEVE necessariamente far soldi… se il film non incassa, non è un film da sala. Per fortuna esistono comunque registi come Peppuccio Tornatore che riescono a riempire le sale facendoci nel contempo sognare con la sua regia sublime e maestosa.

-Cosa ne pensi di “A Serbian Film”, un film che è stato definito un porno-horror, sia per le tematiche trattate, che vanno dal mondo della pornografia – appunto – a quello degli snuff movies, che per le scene mostrate? È questo il tipo di cinema a cui si va incontro?

Non ho ancora visto “A serbian film” ma ho letto diverse recensioni e lo stesso regista giustifica l’uso smoderato della violenza a testimonianza di una sua particolare visione. Non me la sento di giudicarlo. Lo farò, forse, dopo averlo visto. Da appassionato horror mi auguro francamente un ritorno al genere anni 80, vedi Sam Raimi, David Cronemberg, Jhon Carpenter, ma aborro ogni forma di esagerazione ed esasperazione cinematografica che porterebbe soltanto all’autodistruzione del vero cinema dell’orrore. Non dobbiamo andare incontro ad un cinema fatto di violenza reale. Quello va oltre il comune horror. Va bene a mio modesto parere il cinema in stile Saw, violento sicuramente ma resta isolato in un contesto comunque fantastico, vanno bene i thriller psicologici ma quando si tratta di camuffare con la terminologia “horror” un cinema che incita alla violenza, tramite l’uso smoderato del sesso o di altre metodologie non convenzionali, allora tutto cambia e bisogna stare molto attenti. Ricordiamo che il cinema è sogno e tale deve rimanere.

 

 

Giusy Chiello

Redattrice- giusy.chiello@ilmiogiornale.org

Foto: Francesco Candela

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