QUANDO LA RAI ERA PIÙ PRESENTE PER LA GENTE SEMPLICE E UMILE

Oggi c’è ulteriore bisogno di “acculturare” non solo gli analfabeti di ritorno, ma tutti gli italiani che non sanno come affrontare i mali della burocrazia.

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)

Al termine dell’ultimo conflitto in Italia le persone analfabete erano circa 6 milioni. Ma poco meno lo erano tra la fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60, nonostante si assaporasse il boom economico e sociale, e i mezzi di comunicazione come la radio e la televisione, presenti nella maggior parte delle case, abbiano certamente contribuito, ma non tutti avevano, comunque, la possibilità di istruirsi e, per altri versi, di acculturarsi. Ecco che allora entra in scena la Rai con il programma televisivo “Non è mai troppo tardi”, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, andato in onda dal 15 novembre 1960 al 10 maggio 1968, nella fascia preserale proprio per permettere a chi lavorava di potervi assistere. Furono realizzate 484 puntate affidate al maestro-conduttore Alberto Manzi (1924-1997), che non solo ha avuto una certa audience, ma anche il merito di “diplomare” un milione di analfabeti italiani. Merito ancorché avvalorato dalla sua umiltà e gran rispetto per i suoi “alunni” (spesso ultra settantenni) che gli hanno sempre manifestato gratitudine ed affetto… e non certamente per il cachet ottenuto dall’emittente! In realtà questa iniziativa fu preceduta nel 1958 da un progetto pilota, che sarebbe durato sino al 1966, intitolato “Telescuola, programma a carattere “sostitutivo”, cioè diretto a consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai ragazzi residenti in località prive di scuole secondarie. Fu un progetto fortemente innovativo, con 4 milioni di ascolti giornalieri, che vide il teorico dell’Educazione artistica Enrico Accatino (1920-2007) innovare la didattica in questa disciplina, promuovendo la docenza della storia dell’arte e dell’educazione all’immagine nella scuola dell’obbligo. In seguito, con l’istituzione della Scuola dell’obbligo questi programmi non hanno più avuto ragione d’essere (a mio avviso oggi ci sarebbe bisogno di un ripasso dedicato in particolare agli oltre 4 milioni di analfabeti cosiddetti “di ritorno”; ma purtroppo, anche se c’è stata negli anni una evoluzione dei mezzi di comunicazione e molte opportunità per raggiungere traguardi accademici, questa carenza, che potrei definire “cultura del senso civico”, mai nessuno ha pensato di istituire dei corsi per affrontare i principali problemi sociali della vita quotidiana come, ad esempio, conoscere e superare la burocrazia. Bisogna giungere al febbraio 1994 (grande ritardo!) quando la Rai, dalla sede regionale del Piemonte mandava in onda da Torino “Parlato Semplice”, un programma del DSE ideato e condotto dal giornalista Gabriele La Porta (1945-2019). Era un programma quotidiano, in diretta di informazione e attualità (lunedì e venerdì dalle 10.00 alle 12.00) in cui veniva affrontato un tema a carattere sociale, suddiviso per giorno in vari sotto temi e approfondito con servizi, collegamenti e ospiti in studio (non remunerati). Ma come funzionava? In ogni puntata il conduttore, con l’ausilio di alcuni  esperti, introduceva il tema dando avvio alla discussione con gli altri ospiti in studio (rappresentanti di categoria, associazioni, gruppi di opinione, etc.) e le telefonate in diretta dei telespettatori; un ruolo fisso era occupato dagli studenti, invitati settimanalmente in studio per contribuire alla discussione con le loro domande e osservazioni. Dall’11 aprile il programma si è arricchito di una nuova rubrica: “Sportello Italia”, uno spazio in cui veniva presentata la vicenda personale di uno spettatore, emblematica ed esemplificativa di situazioni molto diffuse nel nostro Paese, e ciò attraverso il coinvolgimento (in diretta) di esperti in qualità di “responsabili di sportello” e di “difensore civico”, cercando di dare risposte concrete alle domande emerse da quei “casi”. Collegata a “Sportello Italia” era la rubrica “I vostri casi”, in cui veniva data soluzione ad un caso problematico presentato nelle settimane precedenti. Altra novità riguardava l’informazione: durante le due ore di programma venivano effettuati collegamenti flash con il TG1, il TG2 e il TG3 per i titoli delle notizie più importanti, nonché un collegamento di circa un quarto d’ora con Euronews, con le principali notizie dall’estero.

Tra le puntate di Parlato Semplice particolarmente seguite quelle dedicate al problema “anziani” dal punto di vista opposto, ossia non che cosa potesse fare la società per loro, ma che cosa loro potessero fare per la società e per la famiglia, e quali erano le loro ricchezze insostituibili per il vivere comune. Molti altri problemi sono stati affrontati, tra questi molto larvatamente citata la burocrazia, o perlomeno facendola rientrare nei vari aspetti sociali. Ricordo che anch’io fui interpellato a questo riguardo, ma solo il tempo di una o due battute per poi far proseguire il programma sui vari aspetti specifici. Da allora ad oggi sono trascorsi quasi trent’anni e mai nessuno ha pensato di dedicare un Corso proprio sulla burocrazia di cui c’è tanto bisogno, ma evidentemente non solo non interessa alla Rai come pure a nessuna Istituzione: da qui il mantenimento della popolazione allo sbando, come dire ognuno si arrangi come può… e intanto molte situazioni vanno peggiorando! Ora, si provi ad immaginare se nelle Scuole superiori (al 5° anno), o al primo anno di università, venisse dedicata qualche ora di lezione sulla burocrazia, magari con suggerimenti pratici, è una sorta di miraggio per non dire blasfemia. Non si pretende certo che un insegnante della Scuola pubblica assuma questo compito (non ci sarebbe nulla di anomalo, anzi sarebbe doveroso), ma ciò non verrebbe recepito nemmeno da associazioni culturali di volontariato; una sorta di cocciuta indifferenza ed egoismo che ci fa tornare indietro di parecchi decenni, perché essere analfabeti in fatto di burocrazia richiama l’inesorabile realtà che recita: “Generalmente gli italiani preferiscono vivere con un problema che non riescono a risolvere, piuttosto che accettare una soluzione che non riescono a comprendere!”. Un’ultima osservazione. In questi ultimi decenni sono sorti programmi dediti a quiz televisivi, i cui concorrenti sono incentivati dalla vincita di denaro o gettoni d’oro (ed altro ancora…), ma a mio avviso hanno poco o nulla di istruzione e cultura, soprattutto perché nella maggior parte dei casi i concorrenti tirano ad indovinare le risposte e, a volte, con l’aiutino del conduttore. Una metamorfosi che suona come un insulto all’ottima maestria di Alberto Manzi.

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