Quando l’atto del donare è “condizionato” dal concetto che si ha della morte

Nikolas Green

Nell’era dei trapianti a scopo terapeutico: una filosofia  di vita per una scelta consapevole  e di grande umanità

 

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Da sempre la sofferenza umana è messa a dura prova, non solo perché il fatto rientra tra i “ruoli” dell’esistenza, ma anche perché l’atto del soffrire determina  (o può determinare) l’apprezzamento di tutto ciò che è vita e con essa il rapporto tra esseri umani. All’estremo, il concetto della morte, sia pur consequenziale, dovrebbe costituire un ulteriore valore “esistenziale” poiché pone fine alla sofferenza fisica e/o psichica, ma soprattutto rappresenta quel traguardo che è illuminato dalla filosofia del vivere e, il suo apprezzamento, dà più valore in assenza di una risposta ai molteplici misteri dell’universo Uomo. Ma quando ci si ammala e si soffre è naturale ricorrere a tutto ciò che può contribuire alla guarigione: speranza ed ottimismo entrano in sincronia, alternati dall’angoscia e dalla paura perché lo spettro della morte non ci abbandona mai. Un pensiero che ogni volta si tenta di rifuggire, ancor più quando si tratta di dare il giusto senso alla vita nostra ed altrui.

È quanto può accadere, ad esempio, ogni qualvolta si affronta il tema dei trapianti d’organo e quindi della donazione; eventi che coinvolgono anche la psiche più “fredda e distaccata” poiché l’accettazione della morte di un nostro congiunto richiede un delicato processo di elaborazione della stessa, e più è lungo tale processo maggiore sarà la “resistenza” nel concedere il consenso alla donazione. Dal punto di vista psicologico non ci sono motivi razionali per opporsi alla donazione, ed è più facile essere donatori in età giovane perché la morte è vista come evento lontano. Ma esiste pure una ragione di carattere sociologico, contraria alla donazione, che si nasconde nell’affermazione «Vivo male in questa società». Il non donare può essere inteso come un mantenimento della propria identità, una sorta di sacralità del proprio corpo. Le posizioni dei favorevoli e contrari alla donazione non sono in antitesi, in quanto l’inconscio dell’uomo (secondo Freud) non ha mai accettato di morire: gli uni e gli altri “negano” la morte. “Non donare” significa per alcuni negare la possibilità reale della morte. In tali circostanze, secondo gli esperti, sarebbe utile riuscire ad allontanare il concetto di morte per ridurre l’angoscia, che coinvolge anche il più stoico degli esseri umani.

In merito a queste riflessioni mi sovviene l’incontro a Torino nel 1999 per un’intervista a Mr Reginald Green, padre di Nicholas, il bambino californiano ucciso nel 1994 dalla malavita in Calabria, e i cui organi furono donati a sette italiani, in attesa di trapianto, tuttora viventi. Alla domanda: in alcuni casi il dramma è visto con indifferenza o pseudo partecipazione. Sono esempi di egoismo o, peggio, d’inciviltà? Rispose: «Di fronte al problema delle donazioni di organi, alcuni pensano che la loro scarsità sia dovuta al rispetto per il proprio corpo; altri invece non vengono “sollecitati” a chiedere informazioni e nessuno si prodiga di informarli. Vi sono anche altre ragioni che frenano le donazioni, per esempio, in ospedale e trovarsi di fronte ad una persona che, poco prima, stava bene e ora giace morta, allora l’emozione ha il sopravvento, soprattutto se si deve prendere in poco tempo una decisione così importante come quella di acconsentire (in modo irreversibile e magari senza potersi consultare) al prelievo di organi».

Tutto questo può essere determinato da cosa si intende per rapporto tra anima e corpo, una forza misteriosa che ci porta a considerare ulteriormente il concetto di morte. Uno stato d’animo che, sia pur inconsapevolmente, richiama la futilità che contraddistingue le cose terrene nel mondo moderno e obbligano a chiarezze ed a verità, quali l’esistere, il morire, il donare. Ma anche se esistesse la certezza dei risvolti della nostra esistenza, ognuno di noi è ugualmente condizionato dall’inevitabile stato d’animo in cui si verrebbe a trovare, poiché troppo alto e determinante è il fattore dell’evolversi delle esperienze, le quali sono condizionate dalla sfrenata ambizione, dall’egoismo e dalla superficialità. Conseguenza imprescindibile da ogni possibile considerazione sulla vita e sulla morte, seppur estemporanee, diventano nell’arco della nostra vita stati d’animo che se non variati, fossilizzano il nostro modo di pensare e di agire. Ed è anche per queste ragioni che le associazioni di volontariato come l’Aitf  possono trasmettere nozioni e stimoli volti alla conoscenza e al rispetto di quei valori che sono la vita e la morte.

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