Quando protagonismo e campanilismo diventano i “nemici” del bene comune
Una “triste” esperienza che fa riflettere
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Alcuni anni fa ebbi occasione di presenziare come delegato ad una assemblea di una Associazione nazionale di volontariato (peraltro molto nota) per il rinnovo delle cariche elettive. Un appuntamento indubbiamente importante: un impegno di “forzati” della poltrona per tre giorni consecutivi, più o meno allineati ad ascoltare interventi talvolta interessanti e “curiosi”, tal’altra monotoni, retorici o privi di spunti propositivi. Oltre cento delegati provenienti da tutte le Regioni (immaginarsi il costo della trasferta per le casse dell’associazione non-profit) con il diritto di parola e di voto, accomunati più o meno dalla stessa finalità per raggiungere la quale non sono però mancati “incidenti verbali” (anche di cattivo gusto), per non parlare poi di qualche esibizionismo campanilistico da parte di questa o quella Regione sede di Sezione, nord o sud, poco importa! Insomma, aveva più voce in capitolo chi possedeva un certo carisma: tono di voce ed espressione mimica più incisivi, sufficienti ad “ammaliare” la platea senza però considerare che in quel momento nessuno era suddito, ma tutti rappresentavano la propria Sezione, la propria Regione e soprattutto la propria dignità di uomo e volontario. Alcune proposte sono state discusse, commentate e per certi versi considerate; mentre altre, addirittura ignorate come a voler “ledere” in qualche modo l’inefficienza e la dignità dell’umile delegato proponente: un’indifferenza che suonava come un invito a scendere dal pulpito e tornare ad occupare il suo posto in platea. E che dire dei commenti prima, durante e dopo le votazioni? Anche qui non sono mancati mormorii, giudizi gratuiti, occhiate più o meno eloquenti, espressioni più o meno decifrabili…, inviti a preferire per interesse personale questo o quel delegato.
Finalmente è arrivato il giorno delle elezioni, e qui mi astengo da ogni commento per lasciare il posto ad una riflessione, probabilmente espressa più volte in precedenti occasioni: io credo che il “vero” proporsi agli altri attraverso una qualunque azione o pensiero non significa pagare servizi e cose o creare alleanze e gerarchie, bensì cooperare nella ricerca di un fondamento saldo per la nostra volontà di lavoro non profit e progresso. «Fondamento – come precisava il filantropo Albert Schweitzer (1875-1965) – da cercarsi nell’interpretazione della nostra vita, della vita che ci circonda e nel significato che ad essa attribuiamo». Ma tant’é. Andare contro le opinioni dominanti degli amici, delle persone che vediamo tutti i giorni (o quasi), è forse il più difficile atto di coraggio che possiamo compiere. Poiché non esiste l’eroe dell’azione, ma quello della rinuncia e del sacrifico (e dell’umiltà), la solidarietà può essere intesa come pura “invenzione” dello spirito ma la sua concretezza deve indurci a considerare che l’unico vero protagonista è colui che vive nella condizione di necessità. Ho voluto citare questa mia esperienza per sottolineare che alcuni membri di associazioni di volontariato nel nostro Paese dovrebbero “rivedere” il proprio ruolo nel mondo del non-profit; in caso contrario, la loro continua presenza fagociterebbe quel malcostume che si sta perpetuando sempre più, ossia la pseudo solidarietà per un’ambizione fine a se stessi e lesiva alla collettività.