Raccontonweb: “Guglielmo” di Gigi Giussani
Guglielmo
Io sono Guglielmo.
Quello che tutti chiamano signor Guglielmo.
Ho ottantotto anni e dormo sul fianco sinistro perché due anni fa ho avuto un ictus.
O erano tre? Non me lo ricordo.
Da giovane ho fatto il muratore e Clelia, mia moglie, la casalinga
fino a quando, un brutto pomeriggio di gennaio, mi è morta tra le braccia.
Infarto.
E’ stato dodici anni fa.
O erano tredici? Non me lo ricordo.
Insieme abbiamo cresciuto due figli, Carlo e Anna, che ora sono sposati.
Hanno comprato casa in città e vengono a trovarmi ogni tanto.
Loro non mi chiamano per nome. Per loro sono “papà”.
Hanno entrambi due figli, ma da un po’ di tempo a questa parte
fatico a ricordare i loro nomi, perché sono nomi stranieri, tipo Scotex e Tenderli.
Sono bimbi adorabili a cui voglio un mondo di bene.
Nemmeno loro mi chiamano per nome. Per loro sono “nonno”.
Da quindici giorni sono stato portato qui, in questa stanza, che fa parte, mi dicono,
di un palazzo enorme come una caserma dell’esercito e che porta il nome di un Presidente della Repubblica che non ho mai sentito.
Nella camera 5, dove alloggio, “Fino a quando non sarai guarito” dice Carlo, ci sono le solite cose:
un letto singolo a cui non riesco ad abituarmi, cigolante e scomodo,
un mobiletto piccolo in truciolato, dove hanno riposto la mia poca roba e un comodino
dotato di ripiano semovibile, o tavolino servitore, come lo chiamano loro,
dove servono colazione, pranzo e cena in orari strani.
Non so cosa succede nelle altre camere – ho capito che esistono altre camere dal numero della mia – ma il sottoscritto ha l’attenzione di diverse persone, tutte brave:
il medico, le infermiere, la suora che mi confessa anche se io non voglio e la Signora Gina, che pulisce in modo impeccabile la stanza, proprio come faceva Clelia a casa nostra.
Anche in questo posto i miei figli vengono a trovarmi ogni tanto, ma non mi portano i miei nipoti perché dicono che ci sono un sacco di virus in giro ed è meglio non fidarsi.
Le infermiere m’hanno detto che sono incontinente, ma hai voglia a spiegare loro che non sono mai uscito dall’Italia.
O sì? Non me lo ricordo.
Ieri mia figlia Anna ha pianto.
Le ho chiesto perché, ma mi ha detto che non era nulla.
Piangeva come quarant’anni fa quando, piccolina, cadde e si sbucciò un ginocchio.
La presi in braccio e delicatamente le diedi un bacio sulla guancia arrossata.
“Un bacino e passa tutto”.
O era il ginocchio che le avevo baciato? Non me lo ricordo.
La camera ha una porta sempre aperta, da cui vedo il corridoio buio, e una finestra
che é quasi sempre chiusa.
Dalla mia piccola prigione che si chiama letto, restando sdraiato su un fianco, non si vede niente, ma quando mi mettono seduto per il pranzo, guardo fuori.
Vedo un sacco di cose fuori dalla finestra.
Macchine, case, alberi.
Bimbi che corrono inseguendo un pallone.
Biciclette veloci. Cani. Luci.
E il cielo.
Quanto fantasticavo da giovane guardandolo.
Seguivo passerotti e rondini.
Nuvole e sole. E luna e stelle, la notte.
Anche ora le vedo, le stelle.
Basta chiudere gli occhi.
E non pensare a niente.
A niente.
Io mi chiamo Guglielmo.
E sono un vecchio.
Ma non me lo ricordo.
O non lo voglio ricordare.
Gigi Giussani
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