Renato Polizzi e le sue “Morti favolose di animali comuni”
di Marcella Onnis
“Morti favolose di animali comuni” di Renato Polizzi, di cui vi ha già parlato su queste pagine Francesca Salis, è il secondo volume della collana “I Freschi “di Caracò editore. Un volume impreziosito dalla carinissima copertina e dalle belle illustrazioni di Carmine Luino.
Il libro è stato presentato lo scorso 30 luglio a San Sperate, durante il festival di cultura popolare “Cuncambias”, dall’autore in compagnia di Francesco Abate e Celestino Tabasso, rispettivamente curatore e primo autore (con “Forse non fa”) della collana “I Freschi”.
La presentazione, preceduta dai “5 minuti di follia” del duo comico Taglia 40 (le bravissime Consuelo Melis e Lisa Zedde), è stata arricchita dalla partecipazione di altri artisti: Stefano Farris, che ha letto le morti dell’airone, del camaleonte, del pipistrello e dello scarafaggio; The BlueSession, che ha curato il sottofondo musicale per le letture di Farris con discrezione e bravura (per poi prendersi il meritato spazio con un’esibizione a fine serata); Manuinvisible – Urban animal, diventato visible per l’occasione, che ha realizzato i ritratti dei quattro animali sopra citati (e che potete vedere qui affianco).
COL PICCIONE POLIZZI FA MEGLIO DI POVIA
«[…] della vita degli animali conosciamo tutto. Come muoiano, però, rimane un mistero» scrive Polizzi nell’introduzione. Ci avevate riflettuto? Lui sì. In particolare, è dall’interrogativo “ma il piccione muore per terra o in volo?” che gli è nata l’idea di questo libro. Una domanda poco …domandata, soprattutto tra gli adulti che, se costretti a combattere con le scagazzate dei piccioni sparse per balconi, terrazze e macchine, al più a tale domanda risponderebbero “l’importante è che muoiano… e lontano da casa mia!”. Come ha rilevato Tabasso, infatti, questa è una domanda di quelle che, più facilmente, si pongono i bambini, provocando l’entusiasmo degli adulti per la loro precocità e arguzia. Ma «se, quando cresci, fai le domande che facevi da bambino, son problemi tuoi!» Poi, però, facendosi serio, il giornalista-scrittore ha aggiunto che se lo fai, è «perché hai mantenuto la tua parte infantile, perché continui a farti domande ricche di poesia». E, infatti, questo moderno bestiario è ricco di poesia, cioè di bellezza, di stupore (raccontato e ingenerato), di dolcezza, di sogno e di malinconia.
Polizzi – dicevamo – si era perso dietro le due alternative dalle diverse implicazioni: «se i piccioni muoiono in volo non hanno avuto un presentimento; se, invece, muoiono a terra, vanno a morire in pace».“Istigato” da Francesco Abate, ha, dunque, proseguito in questa indagine tanto bizzarra quanto avvincente, procedendo così: «Ho fatto un po’ come gli antichi: basandomi sulle 2-3 notizie che avevo a disposizione, ho tirato le conclusioni. Il libro è quindi pieno di alcune verità, alcune menzogne assolute e altre di seconda mano, cioè riprese da altri». E che questo lavoro di fantasia sia comunque supportato da una seria ricerca sull’argomento lo dimostrano le citazioni, anche celebri, contenute nei vari capitoli, in particolare l’ultimo.
EFFETTI COLLATERALI
Con suo grande stupore e divertimento, però, il suo “trattato” è stato considerato fonte autorevole da tante persone, ora convinte, per esempio, che davvero l’airone muoia quando poggia l’altra zampa. Tabasso, comunque, ha voluto raffreddare il suo entusiasmo: «Non ti credono solo perché scrivi bene, ma anche perché viviamo in un Paese di scemi». E viene in salita dargli torto, vista la facilità con cui andiamo dietro a incantatori di serpenti, unti del Signore auto-untisi, televenditori prestati alla politica, fautori della democrazia del “mi piace/non mi piace” (purché piaccia/non piaccia a loro) e compagnia cantante…
Atro effetto collaterale di questa pubblicazione è che gli amici, conoscenti e lettori di Polizzi ora lo tempestano di foto di animali morti su Facebook e Whatsapp: se l’avesse previsto, forse ci avrebbe pensato due volte prima di scrivere questo libro, ma ormai il danno è fatto e non gli resta che lanciare appelli – come ha fatto durante la serata a San Sperate – affinché non gliene mandino più.
PASSIONI ANIMALI
Il senso di questo libro, però, ovviamente non è solo dare risposte più o meno fantasiose a domande insolite: è offrirci un’occasione per riflettere su noi stessi, cosa che facciamo sempre meno di quanto dovremmo. L’autore ha, infatti, precisato che questo, «in realtà, è un libro che parla di passioni, dello spazio che diamo alle passioni». Il cuore, il metterci l’anima sono il centro di tutto: lo dimostrano soprattutto la storia della cicala e della scimmia, o meglio King Kong. O quella della formica, che di anima sembra essere priva (ma su di lei torneremo tra poco).
Non a caso, Celestino Tabasso ha voluto sapere dall’autore in quale morte si senta più coinvolto e quale rinascita lo emozioni di più: «Sicuramente lo scarafaggio. È l’animale che più mi fa ribrezzo. E gli ho fatto fare forse la morte più poetica», ha risposto. Altre morti per lui significative sono quelle della cicala e della formica, come suggerisce la sezione che nel libro riserva al loro antichissimo antagonismo. Perché? Perché «della formica ne parlano tutti bene e a me questa cosa che la cicala è la dannata, mentre la formica è la buona mi sta sulle scatole. Per questo la formica la tratto malissimo e alla cicala faccio un inno». Così di lei scrive Polizzi: «C’è qualcosa di profondamente etico nel comportamento della cicala, nel suo modo di perseguire e cercare di far fruttare il dono che la natura le ha dato. […] È un’artista di un’arte che non ha mercato […] è nata cantante heavy metal nell’Italia dell’800 […] Ma a lei non interessa il successo: l’unica cosa che sa è che si sente pienamente felice solo quando suona […] Magari la sua musica verrà capita un giorno e il suo talento verrà riconosciuto grazie a un salto culturale e sociale che farà in modo che la sua arte abbia un pubblico e ci potrà anche campare» Durante la presentazione ha anche aggiunto che stenta a credere che la cicala muoia. D’altronde, se è un artista vera, dovrà pur essere eterna, no?! E, comunque, certamente le cicale saranno arrossite per questo inaspettato, sentito e poetico apprezzamento. Quanto alla formica, guardiamola con gli occhi di Polizzi (o con quelli del bambino che, mosso da un odio inconscio, si diverte a schiacciarle col piede o a provare ad affogarle): non ha davvero «quell’arroganza ottusa che hanno i buoni esempi»?
Altre morti significative per Polizzi sono quelle della sezione post-darwiniana, necessaria perché «dopo Darwin i bestiari hanno avuto un movimento doppio, in entrata e in uscita: sono usciti tutti gli animali fantastici ed è entrato un unico nuovo animale, la scimmia con il pollice opponibile, cioè l’uomo.» [Appare evidente che Darwin gli stia sulle palle almeno quanto la formica… e questa antipatia forse è contagiosa, tanto più che, grazie a Polizzi, scopriamo che le teorie evoluzioniste trovano un antecedente in Cina secoli e secoli addietro. Del resto, si sa che l’Oriente è sempre avanti.]
Da qui l’idea di parlare della morte di un animale fantastico e di un particolare tipo di uomo. Il primo è la Fenice, «unico animale di cui sappiamo tutto e che, però, dovevo far morire “giusta”. E l’unico modo era farla morire cucinata. Quindi troverete una serie di ricette su come cucinarla» ha spiegato l’autore (per la cronaca, questo ricettario è una delle parti più esilaranti del libro).
Invece, l’esemplare di uomo su cui si concentra è “l’autore”, contrapposto allo “scrittore”, «e parlo anche lì delle passioni». Ne parla così bene e intensamente che questo è uno dei capitoli più malinconici e, quindi, più belli. «L’autore – ha spiegato Polizzi – è tale dalle 18 in poi, perché solo dopo il lavoro può occuparsi delle sue passioni.»; «Non esistono epitaffi per l’autore e questo perché non gli viene riconosciuto un ruolo» scrive nel suo bestiario. Ed è anche per tale motivo che se n’è scelto uno per sé (lo trovate, appunto, nel capitolo “Morte dell’autore”). Per conoscere l’origine divertente dell’idea di scriversi da sé l’epitaffio bisogna andare a sentirlo, ma anche questo discorso, in realtà, è molto serio: «[…] il problema con l’epitaffio riguarda un po’ tutti. Non solo l’autore, è il lato quantitativo dell’epitaffio, quello scarto tra la funzione, il ruolo in cui la vita ci costringe e le vite possibili, parallele che conduciamo». Artista part-time e quotidianità permettendo, l’autore subisce gli inconvenienti e le frustrazioni che ne conseguono, ma con un vantaggio rispetto allo scrittore: poter trovare nella scrittura «un rifugio da tutte le noie della vita»; mentre per lo scrittore la scrittura fa parte della vita e quindi «quando arriva la giornata storta gli sarà difficile rifugiarsi, che so, nella ragioneria» (e qui ci vorrebbe un “tié” con relativa grafica).
Ogni morte – e ogni vita – di animale ha il suo fascino sia per come Polizzi la racconta («[…] se andate in una grotta di pipistrelli di notte, […] sarà possibile vedere i pipistrelli morti che ondeggiano agli spifferi di vento come poveri ombrelli dimenticati») sia per gli spunti di riflessione che ci offre. Spunti che possono diventare un faro per chi è in piena crisi esistenziale, anche perché, come ricorda l’autore nel capitolo “Cicala vs formica”, «Noi [in queste pagine, ndr] parliamo di fine vita, un luogo da cui tutto si vede col cannocchiale messo al contrario: guardiamo dal futuro al presente». Se, quindi, riusciamo a individuare come finiremo, magari qualche errore riusciremo ad evitarlo. Forse.
Abbiamo indicato le preferenze di Polizzi; Abate ha apprezzato particolarmente quella del camaleonte; Tabasso non ha espresso la sua preferenza ma non disperiamo di recuperarla; chi scrive si attende una morte bipolare in quanto cicala educata da formica… anche se ormai quel che è fatto è fatto. Ma non dimentichiamo di citare altri animali: il merluzzo e il suo tepore sessuale (quello a lui dedicato è uno dei capitoli più esilaranti); il castoro che vive da Fiom e muore da Cisl, Uil o sinistra italiana; il toro la cui parabola discendente è una drammatica metafora della vita dell’uomo; le lucciole che muoiono come i sogni;la gallina che, lei sola, “rilascia il sapore buono delle vite vissute con semplicità”…
L’ARTE DI ESSERE FRESCHI
In chiusura non possiamo tacere che, mentre fuori dal palco, Renato Polizzi appare timido e quasi impacciato, con un microfono in mano si rivela brillante, un vero intrattenitore, tanto da riuscire a tener testa a un Tabasso in splendida forma. Se poi ci si mette Abate ad aizzarli, il divertimento è assicurato. Ma, scanso equivoci, la presentazione è stata “fresca” ma non frivola. Proprio come il libro.
«Noi siciliani abbiamo la fissazione per la morte» ha precisato Polizzi, ma in realtà questa fissa ce l’abbiamo tutti o quasi. Ed è diffusa anche “la vergogna mai digerita di dover anche morire” di cui canta Davide Van De Sfroos in “Ki”. Allora, forse, questo libro ci può aiutare anche a superare tale tabù e a restituire a questo evento inevitabile la sua condizione autentica di fatto naturale. Di sicuro, come ha fatto con lui Eliano descrivendo la cicala, “Morti favolose di animali comuni” è in grado di “farci riscoprire e guardare con occhi nuovi la realtà che ci circonda”.
Foto Giuseppe Argiolas