Requiem per il rock, la fase REM è finita
“So, so, so quello che sto rincorrendo, so, so, so che questo mi sta cambiando” cantavano neanche un semestre fa i Rem nel nuovo singolo Uberlin. Forse avevano già in mente le decisioni da prendere da lì a qualche mese, intitolando profeticamente l’ultimo album Collapse Into Now.
“Un saggio una volta disse: “A una festa, ciò che è veramente difficile è sapere quando è il momento di andarsene”. È con queste parole che la band di Athens, Giorgia, si congeda dalle scene del rock dopo tre decadi di dischi e concerti.
Per i fan resta adesso ‘solo’ il corpus più consistente mai prodotto da una band americana. La formazione, composta da Michael Stipe (cantante), Peter Buck (chitarrista), Mike Mills (bassista) e Bill Barry (batterista fino al 1996), ha saputo influenzare la scena musicale degli anni ottanta muovendo da poche ma chiare idee: evitare tanto i cliché, quanto la perizia tecnica e le soluzioni narrative che stavano stereotipando il rock.
Così, dal 1982 al 1989, i Rem (Rapid Eyes Movement, il momento del sonno in cui l’attività onirica è più intensa) danno alle stampe un disco all’anno, raddoppiando puntualmente le vendite del predecessore ed espandendo la popolarità della band al di fuori degli Stati Uniti, tanto da convincere i boss della Warner Bros a metterli sotto contratto.
Motivi del successo? Il carisma di Michael Stipe innanzitutto, un songwriter impressionista capace di testi enigmatici, surreali, apparentemente distaccati, che nascono dall’uso spregiudicato della tecnica del cut up e da neologismi e scorrettezze lessicali.
Se all’inizio della loro carriera rappresentarono la continuità con la grande tradizione del rock americano dei Byrds e The Band, negli anni Novanta sono stati coronati da Rolling Stones come “la migliore band statunitense della storia, l’unica capace di passare per la scena musicale di due decenni mantenendo integro il proprio considerevole patrimonio intellettuale e culturale”.
Si dice che Kurt Cobain sognasse di scrivere una canzone che fosse al loro livello, che Tom Yorke e Eddie Vedder chiamino ogni mattina Michael Stipe, che Patti Smith si sia lasciata convincere da lui a tornare sulla scena nel 1996. Bruce Springsteen, Bono Vox, Chris Marin, Bjork, Brian Molko e Pj Harvey hanno tutti duettato con i Rem, mentre Radiohead, Sparklehorse, Placebo, Editors e Interpol aprivano i loro concerti.
A pensarci oggi, certi loro pezzi, da It’s the end of the world as we know it e Losing my religion a Shiny happy people ed Everybody hurts, sono ormai dei classici senza tempo, al pari Like a rolling stone di Bob Dylan o Imagine dei Beatles. I Rem, alla fin fine, hanno proprio avuto tutto, passando dallo status di band alternativa impegnata nelle cause ecologiche e sociali, a quello di tormentata formazione divorata da droga e Aids (ancora oggi è comune imbattersi in chi dice che Michael Stipe sia malato) a gruppo mainstream capace di strappare il primo posto nelle classifiche delle vendite.
In un’intervista del ’92 David Friche di Rolling Stones chiedeva a Stipe “Come ti immagini il futuro della band”? Stipe rispose: “Una delle mie peggiori paure è fare la fine di quelle stupide band che vanno avanti per vent’anni senza rendersi conto di quanto facciano schifo e di quando smettere”.
Incubo evitato! A nome dei milioni dei fan toccati dalla vostra musica in tutto il mondo, grazie ragazzi!
Andrea Anastasi
magari avessero tutti il loro buon senso … non solo nel settore musicale.
Gran bell’articolo!