RICORDARE EVENTI E PERSONE NEL BENE E NEL MALE
Oltre ai nonni e agli anziani, tra i protagonisti della vita sociale sarebbe doveroso dedicare almeno un pensiero di ideale vicinanza anche ai detenuti innocenti, affinché non sprofondino ulteriormente nell’oblio.
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Quante ricorrenze ogni anno e anniversari con dediche per ricordare eventi e personaggi che, a vario titolo, hanno contribuito ad attirare l’attenzione con qualche iniziativa. Ma tralasciando personaggi ed episodi appartenenti alla Storia, da tempo mi chiedo perché nessuno pensa di destare “particolare” attenzione, almeno ogni anno, al problema dei detenuti che da innocenti languono nelle nostre carceri. Quindi non un avvenimento fine a se stesso, ma una realtà che si perpetua senza risultati, ossia tutte queste persone (italiane e straniere) che stanno pagando una pena per un reato mai commesso. Dedicare una giornata ogni anno a questo problema è forse impopolare, ma questo non giustifica in alcun modo il fatto di non parlarne e, proprio con il non parlarne, questi “poveri diavoli” (amorevolmente intesi) continuano ad essere i figli di nessuno. Ma non si era detto che una volta nati siamo tutti Fratelli, figli di un unico Padre? E qui non si tratta di essere credenti, atei o agnostici, ma dal punto di vista umano ritengo che in molti persista l’egoismo (o menefreghismo) e, anche chi avrebbe un po’ di potere per agire in favore dei nostri simili sfortunati, ben poco faccia. Ad esempio, se ciascun cittadino (quindi individualmente) facesse pervenire ai politici di riferimento, ivi comprese le Autorità preposte, una sorta di istanza/petizione per sollevare il problema degli errori giudiziari, richiamandosi alla Costituzione e ai Diritti internazionali dell’Uomo secondo la Convenzione Europea, forse… Inoltre, sarebbe utile poter interloquire con i Collegi giudicanti richiamando la loro attenzione sul grande senso di (non) responsabilità nell’emettere una sentenza, per poi venire a sapere che quella decisione era un vero e proprio errore giudiziario. Mi rendo conto altresì che questa è una problematica non solo delicata e di una certa complessità, ma al tempo stesso, però, mi si conceda fare queste ulteriori considerazioni.
Le molte detenzioni ingiuste sono un gravissimo insulto alla dignità umana e gridano vendetta al cospetto di Dio. In questi casi come si fa a comprendere e a perdonare qualcuno che ci priva ingiustamente della libertà? E cosa significa vivere ingiustamente in carcere per pochi giorni o molti anni, specie se da innocenti? Significa non vivere. Significa tormentarsi continuamente per la mancanza di affetti, del conforto da parte dei propri cari e dei propri amici. Significa sentirsi abbandonati, e chiedersi ogni giorno: «Perché proprio io?» «Perché devo pagare per un delitto che non ho commesso?». «Perché il vero colpevole non è in carcere al posto mio?». Significa essere morti tra i viventi. Ma non è mai troppo tardi per giungere alle opportune riflessioni dettate da quell’altruismo che potrebbe “favorire” il tentativo di alleviare le pene di tutti i detenuti e magari contribuire alla loro giusta libertà. Domenica 28 luglio il Pontefice ha ricordato essere la Giornata mondiale dei Nonni e quindi degli Anziani; ma perché non menzionare l’Anno del detenuto innocente con il proposito di destare l’attenzione sulle cause che hanno determinato l’errore giudiziario? A questo riguardo da una intervista del quotidiano Libero del 19/4/2021 all’avvocato e accademico Franco Coppi, a cura di Pietro Senaldi, compare l’inciso: «Non bastano due o tre esami di diritto per decidere della sorte degli altri per tutta la vita. Vanno testate la morale e l’equilibrio di chi è chiamato a giudicare i cittadini». E alla domanda dell’articolista: Si dice che i giudici non pagano mai per i loro errori…, il giurista ha risposto: «Lavorare sotto il timore di uno sbaglio che può costare caro toglie serenità e distacco»; e alla domanda: Però lei se sbaglia, paga…, l’avv. Coppi ha così risposto: «Io non ho mai desiderato fare il giudice perché mi angoscerebbe l’dea di decidere sulla sorte di un uomo…». Ma al di là di queste personali opinioni, vorrei concludere prendendo a prestito, sia pur da altro contesto, parte di quanto ha affermato il filantropo e premio Nobel per la Pace Albert Schweitzer (1875-1965): «L’uomo è veramente etico solo quando ubbidisce al dovere di aiutare ogni essere vivente che gli sta attorno, e si guarda bene dal recar danno a qualche cosa di vivo. Non si domanda quanto interesse merita questa o quella vita e nemmeno se e quanta sensibilità essa possegga. La vita in quanto tale gli è sacra…». Quindi non solo la vita ma anche la libertà… per non aver commesso alcun reato. Un’ultima considerazione: potenzialmente siamo tutti “a rischio” di un errore giudiziario, anche solo a causa di una semplice omonimia!