Riflessioni sui mondiali di calcio – 3

Le migliori valutazioni non sono senz’altro quelle che si fanno a caldo, ma alcuni giorni di attesa sono comunque sufficienti per esprimere alcune lucide considerazioni sull’ingloriosa uscita di scena degli Azzurri dai mondiali.

Il primo dato da analizzare è che nel calcio italiano – come in quello francese, inglese o spagnolo, ad esempio  – girano troppi soldi e lo sport è diventato un fattore secondario. Lo si dice da tempo, lo capiscono anche i bambini, ma ancora l’andazzo non è cambiato. I nostri calciatori passano più tempo a girare spot pubblicitari (perlopiù idioti) anziché ad allenarsi, molti allenatori – spontaneamente o su richiesta  – schierano i giocatori più sponsorizzati e così via. Risultato: la nazionale e, talvolta, le squadre italiane in Europa vengono umiliate da nazionali o squadre straniere che giocano per giocare e vincere, non solo per guadagnare.

Avevamo avuto la fortuna di capitare in un girone abbordabile (“girone materasso” l’avevano ribattezzato) e noi, campioni del mondo in carica, siamo arrivati ultimi. Ultimi. E forse Dunga non ha tutti i torti a dire che abbiamo peccato di presunzione (anche se i brasiliani in fatto di modestia non è che abbiano molto da insegnare …) .

Occorre poi riflettere seriamente sul fenomeno della massiccia presenza di stranieri nel nostro campionato (e, di riflesso, dei troppi italiani, CT compresi, nei campionati esteri). Basti pensare all’Inter che ha fatto en plein di trofei ma che di tutto sa meno che di italiano …

Senza volersi accodare al ministro Calderoli, alle sue tendenze xenofobe e alla sua scarsa conoscenza delle regole comunitarie sul libero mercato, certo è che se le grosse società italiane investissero di più sui talenti locali piuttosto che su quelli “d’importazione”, forse potremmo assistere a migliori prestazioni della nostra nazionale e subire meno brutte sorprese dalle nazionali rivali …

Marcella Onnis

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