Ritratto cagliaritano di Marcello Fois
di Marcella Onnis
Ci sono due regole fondamentali che un buon lettore e un buon recensore non dovrebbero infrangere mai:
I) non andare ad una presentazione di un libro senza averlo letto prima;
II) non parlare di un libro senza averlo letto prima.
Ebbene, per la prima (e spero ultima) volta in vita mia, ho infranto la prima regola. A mio favore, però, dovrebbe deporre il fatto che ho barattato la mia reputazione con la possibilità di vedere finalmente in carne ed ossa uno dei miei scrittori preferiti: Marcello Fois, giunto a Cagliari giovedì scorso per presentare Nel tempo di mezzo, il suo ultimo romanzo. E se questa attenuante non bastasse a farmi ottenere la clemenza della corte, aggiungo che Fois vive a Bologna quindi “beccarlo” in Sardegna, nella città in cui vivo, in un giorno per me “giusto” e per giunta in una suggestiva cornice (il Ghetto degli ebrei, nel quartiere di Castello) non è certo cosa di tutti i giorni. Come non lo è neppure per noi “gente comune” trovarci davanti, in una stessa sera, ben quattro scrittori affermati (Marcello Fois, Francesco Abate, Paolo Maccioni e Michela Murgia) e persino un importante regista (Gianfranco Cabiddu).
Più difficile, invece, sarà scagionarmi dall’accusa di aver infranto anche la seconda regola, ma a mia difesa invoco il fatto che più che parlare di questo romanzo che non ho letto, parlerò di ciò che altri ne hanno detto.
E questi altri, oltre all’autore naturalmente, sono stati principalmente Paolo Maccioni e Francesco Abate, ognuno con il proprio modo di interpretare il ruolo affidato loro per l’occasione: il primo assennato e professionale; il secondo decisamente più divertente e informale.
Chi ha letto Stirpe molto probabilmente ricorderà una frase enigmatica che Fois inserì nella postilla finale: «È una storia inventata, ma anche vera. Appena posso la ricomincio da capo». Una prima risposta indiretta a questo enigma che per circa due anni ha assillato me e tanti altri l’ho avuta apprendendo dai giornali che l’ultimo romanzo di questo autore era il seguito del precedente. Ho dovuto, però, attendere questa serata cagliaritana per apprendere direttamente da Fois, innanzitutto, che gli elementi di verità presenti nella storia da lui narrata («È una storia inventata, ma anche vera») attingono alle vicende della sua famiglia. Meno prevedibile la spiegazione di quel «Appena posso la ricomincio da capo»: secondo il progetto originario dell’autore, la saga della famiglia Chironi avrebbe dovuto essere raccontata in un unico romanzo, ma l’editore (Einaudi) lo convinse a suddividerla in tre volumi, per cui quando scrisse il primo già sapeva che quella storia l’avrebbe in un certo senso raccontata di nuovo. Non solo, l’incipit di Nel tempo di mezzo – ha sottolineato Maccioni – ricomincia davvero un po’ la storia, anche se non da capo: per riallacciare le fila del discorso, infatti, Fois ha per così dire “riavvolto il nastro” (cito ancora Maccioni), facendo fare al lettore un passo indietro – nella linea cronologica degli eventi – rispetto al punto in cui si era dovuto fermare al termine di Stirpe.
La presentazione cagliaritana, però, non è stata fonte di rivelazioni solo riguardo a questa saga (che prevede anche un terzo volume a cui l’autore sta già lavorando): per molti è stata anche un’occasione per scoprire qualcosa su “l’uomo Fois”. Curioso apprendere l’origine e la forma estesa del suo nome (Marcello Antonio Giovanni Maria, peraltro diventato in famiglia “Antonello”). Piacevole scoprire che questo talentuoso autore “non se la tira”, a dispetto della sua scrittura forbita (non sono, infatti, troppo d’accordo con Maccioni quando dice che nelle sue parole non c’è traccia di magniloquenza) e qualche volta criptica (penso, ad esempio, ad alcuni passaggi di In Sardegna non c’è il mare). Bello sentirlo evocare ricordi personali, a volte esilaranti, a volte teneri, a volte dolorosi.
Nel tempo di mezzo è stato quindi un appiglio per parlare sia della dimensione privata del suo autore che di quella pubblica. E per quel che riguarda quest’ultima dimensione, significativo è stato certamente il momento in cui è stato affrontato uno dei due temi dominanti della sua ultima fatica: il rapporto con il paesaggio (l’altro è la paternità e a questo, curiosamente, non ha fatto riferimento alcuno dei lettori che hanno preso la parola). L’attenzione dedicata al paesaggio, la sua simbiosi con gli stati d’animo dei personaggi, è uno dei tratti distintivi della scrittura di Fois e il perché faccia parte integrante della sua “firma” (quanto il lirismo e il gusto per la tragedia) l’ha spiegato lui stesso: «Se noi perdiamo il senso del paesaggio, perdiamo ciò che ci accomuna». E da qui a parlare di tutela del paesaggio contro “corsa al cemento”, di continuità territoriale e dintorni il passo è stato breve.
Del resto, chi conosce quest’autore sa che ama fare politica, in senso lato, e neppure tanto tra le righe. Lo fa perché si sente ed è un intellettuale, uno cioè che – come ricorda al suo pubblico – può dirsi tale solo se «costruisce coscienza critica». Ma chi si assume questo prezioso ruolo, deve essere anche pronto a farsi carico delle proprie responsabilità: «un intellettuale è anche quello che dice “quando ho detto questa cosa qui, ho sbagliato”».
Ovviamente il dibattito ha toccato anche temi prettamente letterari e anche qui l’autore non ha risparmiato qualche “stoccata”, in particolare sulla qualità media dei libri che oggi si vendono e si leggono. Un punto di vista, il suo, sicuramente condivisibile (seppur pericolosamente prossimo ad una concezione troppo elitaria della letteratura), che trova la sua perfetta sintesi in queste parole: «“Questo libro è scritto bene” non dovrebbe essere un complimento: dovrebbe essere la normalità.»
L’ultima pennellata del mio ritratto cagliaritano di Marcello Fois si collega a quest’affermazione ed è un invito rivolto a tutti noi affinché ci preoccupiamo di essere “lettori attivi” e non “passivi”: «Dovete alzare la pretesa verso gli scrittori. Se voi peggiorate come lettori, noi peggioriamo come scrittori.»
Ciò detto, mi rimetto al giudizio della corte, non prima, però, di impegnarmi solennemente a non infrangere più le fondamentali regole del buon lettore e buon recensore.