“L’odore dei cortili”, romanzo di Giuliano Brenna (Il ramo e la foglia edizioni)

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Già il titolo di questo bel romanzo è bellissimo e poetico (un libro si vede anche dal titolo come dall’incipt). Quest’opera è ambientata ai tempi della dittatura portoghese, a Lisbona. Questo romanzo potrebbe sembrare di primo acchito impolitico o apolitico, ma ricordandoci come eravamo ci ricorda anche come potremmo essere, se non conserviamo memoria di ciò che siamo stati ed è da questo punto di vista politico nel senso più alto e nobile del termine. Ci vuole anche qualcuno che ricordi che quello che è già accaduto potrebbe di nuovo succedere, anche se questa chiave di lettura è parziale e limitante perché questo romanzo è molto di più. Il romanzo ci ricorda anche che la vita è fatta di scelte e talvolta dire no è molto difficile, così come ci ricorda che certe scelte si pagano a duro prezzo. Brenna ricorda a tutti che la libertà non è un diritto acquisito una volta per tutte, ma una conquista continua e faticosa, spesso caratterizzata da regressioni e da vistosi passi indietro. Leggendo questo bel romanzo mi sono chiesto: stiamo ritornando indietro dal punto di vista della libertà in Italia? È una domanda che ci dovremmo fare tutti. La mia risposta la lascio solo immaginare. A ogni modo non si può trattare di autoritarismo e servilismo in un’Italia in cui per anni non è stato rappresentato in teatro “Il nipote di Rameau” perché dava fastidio e ci potevano essere riferimenti neanche tanto impliciti a ciò che stava accadendo nel nostro Paese. Nel caso migliore se qualcuno dovesse affrontare i problemi politici del nostro Paese di petto sarebbe sommerso dalle critiche negative, nel caso peggiore gli arriverebbero delle querele temerarie. Ecco allora che per uno scrittore ci sono due strade grazie all’utilizzo del proprio immaginario: creare un paese fittizio, come fece Gadda con La cognizione, oppure affrontare i nodi irrisolti politici in un altro contesto. In ogni caso bisogna decontestualizzare e trasfigurare e in questo senso Brenna ci riesce benissimo, dimostrandosi un artista molto capace, molto attento alla cura del dettaglio nelle descrizioni, nell’ambientazione e al contempo nel narrare e architettare un congegno narrativo tragico e avvincente. Lo scrittore è quindi sia un ottimo narratore che un descrittore molto abile. Il romanzo è avvincente. La narrazione è scorrevole, ma non ci sono mai cadute di tono, né sciatteria. È un romanzo denso, compatto, ma mai pesante perché la penna di Brenna è intrisa di leggerezza, intesa in senso calviniano. Un altro pregio è che lo scrittore per stile, per tematiche affrontate, per vicende narrate non assomiglia a nessuno, caratterizzandosi per la spiccata personalità, grazie a cui si distingue anche per originalità. Ho fatto un piccolo esperimento: mi sono messo a rileggere alcuni brani di “Sostiene Pereira” di Tabucchi e questo romanzo. Il risultato è che non solo non c’era nessun riferimento, nessun richiamo, ma Brenna non mi ha mai deluso e non ha mai sfigurato: a mio avviso se la giocavano ad armi pari. Non voglio spoilerare la vicenda perché penso che la miglior cosa sia acquistare il libro per farsi veramente un’idea della bravura di Brenna. Ma non c’è solo questo. Non c’è solo la documentazione dovuta a raccolta di materiale, alla lettura di libri portoghesi e ai viaggi in Portogallo. Non c’è solo questo. Da un lato c’è la dittatura, che diventa povertà e privazione, mentre dall’altro ci sono gli incontri a pagamento di Mattia Rosenberg e la sua sottomissione al capitano Green in un gioco di rimandi tra il masochismo morale e quello erotico. La sottomissione al capitano diventa la metafora della sottomissione al regime in un continuo e progressivo slittamento di senso in cui si ritrovano anche sprazzi di amore autentico, come l’incontro con Ana. Inoltre sia il giovane Mattia che il capitano Green gradualmente iniziano a prendere coscienza, ad affrancarsi spiritualmente in un processo di redenzione etica, che permea la loro coscienza. Brenna è sempre lì e a volte le sue verità sono coltellate che affondano nell’animo. Riporto testualmente un piccolo brano a riprova di questo fatto: “L’acqua e, a ben guardare, la vita, hanno una superficie dall’aspetto compatto ma basta immergervi anche un dito che immediatamente si trasformano, da elementi algidi e statici, in qualcosa di vivo e pulsante, facendosi luoghi di accoglienza”. Abituati come siamo a una società tutta basata sull’esteriorità, queste pagine ci immergono invece nell’interiorità, ci portano a viaggiare dentro noi stessi. Se è vero che secondo la saggezza cinese e recenti studi di psicologia noi siamo la somma delle cinque persone che più frequentiamo, è altrettanto vero che noi siamo anche e soprattutto i libri che leggiamo: lasciate quindi i best seller e leggete libri di alta qualità come questo! In quest’opera ci sono il lutto e la sua elaborazione, vicende familiari drammatiche, che lo scrittore scandaglia a dovere: ci sono quindi sia i rapporti parentali, le dinamiche psicodinamiche, la psicologia del profondo e al contempo le tematiche esistenziali e metafisiche. Insomma storico e astorico si amalgamano armoniosamente e mirabilmente, in un romanzo dove impermanenza ed essenza, contingente ed eterno sono entrambi presenti in una gestalt globale onnipervasiva e onnicomprensiva, che trova una felice compiutezza sostanziale e formale.

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