Scenari incoraggianti per trapianti e donazioni in Italia

Lucia Rizzato

di Marcella Onnis

Organizzato a Firenze dal 30 novembre al 2 dicembre 2016, l’ultimo congresso nazionale della Società italiana per la sicurezza e la qualità nei trapianti (SISQT) si è rivelato molto utile per capire quali sono le tendenze in atto in questo settore a livello internazionale e, in particolare, nazionale.

Lucia RizzatoUNA RETE NAZIONALE SEMPRE PIÙ EFFICIENTE – I trapianti di organi in Italia sono resi possibili grazie a una rete che non coinvolge solo il Centro trapianti e il Coordinamento locale che gestisce la donazione dell’organo: è una rete nazionale, coordinata dal Centro nazionale trapianti operativo (CNTO), struttura attiva da novembre 2013 sul cui operato è già possibile fare delle valutazioni attendibili. La dott.ssa Lucia Rizzato, dirigente infermieristico e responsabile del CNTO, ha innanzitutto ricordato che il sistema nazionale gestisce una media giornaliera di 6/7 donazioni (per un totale di 1.100 donatori effettivamente utilizzati all’anno), 7/8 trapianti e 5/6 équipe impegnate in tali operazioni. In questo quadro generale si inseriscono i miglioramenti registrati nei singoli programmi gestiti dal CNTO, a detta della dott.ssa Rizzato ottenuti anche grazie a un’ottimizzazione delle comunicazioni tra regioni e centri trapianti. Per quanto riguarda le urgenze, da gennaio 2014 (periodo di avvio del relativo programma) a giugno 2016 è stato soddisfatto il 78% delle richieste e nella quota di quelle inevase – ha precisato la relatrice – rientrano sia i pazienti usciti dalla lista perché migliorati sia quelli (il 20%) usciti perché, purtroppo, peggiorati e talvolta deceduti. Le migliori performance riguardano anche i tempi di risposta alle urgenze, in particolare per il trapianto di rene per cui si è passati dai 23,25 giorni del 2015 ai 9,6 giorni del 2016. Il programma che, però, meglio evidenzia l’efficienza del nuovo sistema è quello delle restituzioni, cioè dei casi in cui una regione che aveva ricevuto un organo da un’altra per fronteggiare un’urgenza deve poi “restituirle” un organo dello stesso tipo. Il 63% delle restituzioni è stato bilanciato dal CNTO con un sistema di “compensazioni” in cui i “crediti” e i “debiti” vengono “congelati” per tre mesi: in tale periodo accade così che alcuni di essi si azzerino naturalmente e che i restanti possano essere compensati d’ufficio con incroci tra più regioni. Tale sistema ha consentito di ridurre il numero di viaggi delle équipe, in particolare evitando ben 324 voli, che sono previsti per le tratte superiori ai 350 km (mentre le distanze inferiori sono coperte con viaggi in auto) e il cui costo è di circa 15 mila euro ciascuno.

programmi gestiti dal CNTOGli organi donati sono sempre insufficienti in rapporto al numero di pazienti in lista per un trapianto, per cui diventa fondamentale adottare ogni accorgimento utile a non perderne neppure uno. Tale filosofia è alla base del programma delle “eccedenze”, ossia di quegli organi che una regione non utilizza per assenza di centri trapianti o perché questi li valutano come non trapiantabili. La dott.ssa Rizzato ha rimarcato come le eccedenze comincino a essere numerose, da qui l’importanza di un efficiente sistema di gestione. La procedura seguita dal CNTO prevede che prima sia verificata la possibilità di allocare l’organo nella relativa macro-area (Nord o Sud) e che poi, se l’esito è negativo, lo si offra all’altra. In dettaglio, nel 2015 sono stati offerti ad altre regioni 713 organi mentre sono stati 551 nel solo primo semestre del 2016; di questi organi ne sono stati accettati, rispettivamente, 309 e 206.

Altri programmi che consentono di ottimizzare l’utilizzo degli organi disponibili sono quello dei donatori a cuore fermo (a novembre 2016 risultavano già utilizzati 17 donatori su 20 segnalati) e quello del trapianto di fegato diviso (split liver). Quest’ultimo – ha evidenziato la dott.ssa Rizzato – ha visto un incremento dei numeri in seguito all’adozione di un nuovo protocollo meno restrittivo per cui tutti i fegati di donatori con meno di 50 anni a rischio standard devono essere divisi: si è così passati dai 28 trapianti split realizzati nel periodo 25/08/2014-24/08/2015 ai 50 del periodo 25/08/2015-24/08/2016. In questo picco positivo è incluso un aumento del 68,7% dei trapianti pediatrici [il lobo più piccolo del fegato, infatti, viene di norma trapiantato su un bambino, ndr] che ha consentito «una sorprendente diminuzione della lista di attesa» e una riduzione dei trapianti pediatrici da vivente. In proposito, segnaliamo che il 29 novembre, a ridosso del convegno, è stato eseguito in Sardegna, per la precisione a Cagliari, il primo trapianto di fegato split. Per la dott.ssa Rizzato, tuttavia, confrontando la situazione italiana con quella del resto d’Europa appare evidente che «esistono margini di miglioramento». Siamo, però, ben inseriti nella rete europea dei trapianti, gestita tramite il Foedus portal grazie al quale il nostro Paese ha potuto importare e trapiantare 26 organi provenienti da altri stati europei.

Umberto CilloTRAPIANTI DI FEGATO PIÙ “EQUI” – Oltre allo split, un’altra novità significativa nel campo dei trapianti di fegato in Italia è il metodo misto (blended) usato per l’allocazione degli organi, illustrato dal prof. Umberto Cillo, Direttore della Chirurgia epatobiliare e dei trapianti epatici dell’Azienda ospedaliera di Padova. Tale metodo si avvicina a quello adottato dall’area Eurotransplant (costituita da Austria, Belgio, Croazia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Olanda e Slovenia), che per Cillo è un sistema ottimale in quanto gli organi disponibili vengono assegnati per paziente, ossia in base alla loro gravità e quindi all’urgenza, anziché per Centro, ossia alla struttura in cui è avvenuta la donazione e in cui è presente il Centro trapianti. Il chirurgo ha spiegato che il metodo blendedelaborato in Italia e già in via di affermazione a livello internazionale – combina questo criterio di urgenza/gravità con il criterio del transplant benefit, il quale confronta la sopravvivenza attesa per il paziente con il trapianto e senza trapianto ma con terapia alternative. Tale criterio, ha spiegato Cillo, è diventato quello principale perché consente di evitare che i pazienti gravi non arrivino al trapianto o che vi arrivino in condizioni così compromesse da non sopravvivere a lungo dopo l’intervento, esito che può verificarsi quando la priorità è data esclusivamente ai casi più urgenti.
principi per l'allocazione degli organiSeguendo questo nuovo criterio, il paziente viene trapiantato secondo il principio del «né troppo presto né troppo tardi» e a condizione che – indifferentemente dalla malattia (cirrosi, epatocarcinoma…) – l’intervento non sia futile, intendendo come tale quello in cui la probabilità di sopravvivenza a 5 anni sia inferiore al 50-60%. Rispondendo a una domanda del dott. Paolo De Simone, presidente della SISQT, Cillo ha confermato la difficoltà di comunicare al paziente la futilità del trapianto, anche in considerazione del fatto che tale criterio «non è univoco: è sempre arbitrario, anche se è un punto di partenza». Il suo approccio – ha raccontato – è comunicare la notizia in maniera da lui stessa definita cruda, spiegando che «il trapianto ucciderebbe due persone: quella che riceve l’organo e quella che non lo riceve e che avrebbe invece potuto sopravvivere». Per Cillo il prossimo obiettivo è calcolare il transplant benefit in un arco temporale non più di 5 ma di 10 anni, utilizzando i vari parametri indicati in letteratura e tenendo anche conto delle caratteristiche del donatore oltre che del ricevente. In particolare, per lui «il futuro è uno score personalizzato, un calcolatore di benefit», in modo da massimizzare l’equità di un sistema sin da ora in grado di contemperare «giustizia individuale e opportunità per la popolazione». Da segnalare che nel Centro trapianti di Padova questo metodo è stato introdotto a inizio anno e ha già consentito di dimezzare la mortalità in lista di attesa.

Fabio VistoliLA DONAZIONE SAMARITANA – Per quanto riguarda i trapianti di rene, invece, sono grandi le speranze riposte nella donazione samaritana, che potrebbe consentire di superare la drammatica stagnazione nel numero di trapianti eseguiti: nel 2015, delle 6.765 persone in lista solo 1.072 hanno potuto ricevere un nuovo rene. Il dott. Fabio Vistoli (Azienda ospedaliero universitaria di Pisa – Chirurgia generale e trapianti nell’uremico e nel diabetico) ha spiegato che questa grave insufficienza di reni donati deriva soprattutto dall’aumento dell’età media dei donatori – a sua volta conseguenza dell’innalzamento di quella della popolazione italiana – i quali presentano spesso patologie che impattano sui reni più che sul fegato. I trapianti di rene da vivente – che, sempre nel 2015, sono stati 301 contro i 1.580 da donatore morto – hanno consentito solo un lieve incremento rispetto al passato, anche perché – ha spiegato Vistoli – quasi metà dei potenziali donatori viventi non è idonea per il ricevente per cui si propone. Una soluzione per ovviare a questo limite è incrociare una coppia di donatore e ricevente tra loro incompatibili con un’altra con lo stesso problema in cui il ricevente e il donatore siano rispettivamente compatibili con il donatore e il ricevente della prima coppia. Ma si può fare di più: da ormai 10 anni, i centri trapianto di Pisa e Siena – cui per un caso si è aggiunto l’ospedale Niguarda di Milano – realizzano questo incrocio (cross-over) anche con tre coppie. Vistoli ha, tuttavia, precisato che questo metodo è poco diffuso perché i donatori viventi sono pochi e perché, vista la complessità organizzativa della procedura, sono pochissimi i centri che lo utilizzano. Il primo cross-over a Pisa è stato realizzato nel 2015 coinvolgendo tre coppie e oggi – ha raccontato – tutte e sei le persone coinvolte stanno bene.

Fabio VistoliSe poi in questo quadro si inserisce la donazione samaritana o altruistica, si aprono prospettive ancora più incoraggianti. Tale tipo di donazione parte da un donatore vivente estraneo, cioè non legato al paziente da vincoli di parentela, ed è consentita in Italia già dagli anni Sessanta dalla Legge n. 458/1967 sui trapianti di rene tra persone viventi. Tale legge prevede che la donazione samaritana possa avvenire solo per il rene e che debba essere libera, gratuita e informata, per cui – ha rimarcato Vistoli – è fondamentale vigilare che non vi sia stata alcuna remunerazione né costrizione e che il donatore sia stato adeguatamente informato sulla procedura. Da qui la recente stesura di un rigido protocollo in base al quale i primi 10 casi saranno seguiti direttamente dal CNTO. Il primo trapianto di rene da donatore samaritano (valutato positivamente a dicembre 2014) è stato realizzato a gennaio 2015 e, tramite il cross-over, ha innescato una catena di donazioni da vivente che ha coinvolto più coppie di donatore-ricevente tra loro incompatibili, di fatto realizzando altre donazioni altruistiche. Questa catena si è chiusa ad aprile 2016 e non è stato riscontrato alcun problema né per i donatori né per i trapiantati. A luglio 2016 è partita un’altra catena, stavolta più corta, e a breve, ha annunciato il dott. Vistoli, ne partirà una terza più lunga della prima.
cross over nel trapianto di rene«L’obiettivo è un cross-over che consenta di superare l’incompatibilità, ma che garantisca anche migliori risultati nel match» [abbinamento tra organo donato e paziente ricevente, ndr], soprattutto per quanto riguarda il profilo immunologico: in tal modo, ha spiegato il relatore, anche eventuali coppie di donatore e ricevente tra loro compatibili avrebbero dei vantaggi nell’aderire al programma bilanciato altruistico. Quanto al sistema nel complesso, chiaramente i vantaggi sono in termini sia di maggior numero di vite salvate (e qualità delle stesse) che di riduzione dei costi. Interessante, infine, la possibilità prospettata da Vistoli di una «donazione senza fine», cioè di una donazione da vivente che venga “congelata” fin quando in lista non siano presenti coppie di donatore-ricevente incompatibili che questa possa sbloccare. Da non dimenticare, inoltre, che la catena con il cross-over può essere innescata anche da un donatore morto.

 

Foto Giuseppe Argiolas

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