Scomparso il nobel per la Pace Elie Wiesel
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Si apprende da quotidiani che all’età di 86 anni è morto il nobel per la Pace Elie Wiesel (Sighetu Marmatiei-Romania 1928 – B0ston 2016); figura illuminata sia dal punto di vista culturale che umanitario. Sin dall’infanzia ha vissuto la presenza attiva della ferocia nazista contro gli ebrei, e per questa ragione è stato definito “l’archivista spirituale dell’olocausto ebraico”. A sedici anni è stato deportato con tutta la famiglia a Birkenau: la madre e i fratelli sono morti ad Auschwitz, il padre è morto a Buchenwald. Verso la fine del conflitto, liberato dalle truppe americane, è stato portato in Francia dall’Opera francese di soccorso ai fanciulli. Vi resterà dal 1946 al 1958, laureandosi nel contempo alla Sorbona e imparando perfettamente il francese che diventerà la sua lingua di elezione. Nel 1959, grazie a François Charles Mauriac (1885-1970), premio nobel per la Letteratura (1952), diede alle stampe il suo primo romanzo “La notte” (traduzione italiana di Daniel Vogelmann per la Giuntina editrice), che ripercorre i suoi ricordi della vita nel campo di concentramento nazista. La prima versione di quest’opera era di ottocento pagine, scritta in yiddish (lingua del ramo germanico occidentale, ndr) con il titolo “E il mondo rimase in silenzio”; quella pubblicata in Francia e poi negli USA era molto più breve, tant’é che all’inizio vendette solo duemila copie, ma che in seguito divennero sei milioni, tradotte in trenta lingue. A seguito di quest’ultima pubblicazione ebbe a dire: «Nessun’altra tragedia della storia è stata documentata più dell’Olocausto, con decine di migliaia di testimonianze scritte e orali. Un giorno spetterà a chi ha ascoltato la testimonianza di sopravvissuti come me diventare a sua volta testimone». Da qui ebbe inizio la sua produzione letteraria con i romanzi: “Gli ebrei del silenzio”, “Il testamento di un ebreo poeta assassinato”, “Il quinto figlio”, “Credere o non credere”, “Contro la melancolia”, “Il Golem”.
Ma oltre l’attività letteraria, fondamentale è stato il suo impegno per favorire la pace tra ebrei e palestinesi, e per difendere pubblicamente tutti i combattenti ebrei imprigionati nell’URSS si recò più volte in Cambogia, criticando aspramente la politica di barbare nefandezze commesse dal rivoluzionario e dittatore cambogiano Pol Pot; denunciò la vergogna della fame nel mondo e quella della tortura, soprattutto di quella praticata sui bambini. Con il riconoscimento del Nobel nel 1986 si è voluto premiare “un messaggero dell’umanità”, un uomo che ha conosciuto e vissuto in “corpore vili” il più grande orrore della storia e che, malgrado ciò e nonostante le catastrofi presenti e incombenti, ha trovato ancora la forza per far convergere ogni possibile soluzione a favore della pace in Medio Oriente. Così lo ricorda, dalle pagine del Corriere della Sera, il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu: «Ha dato espressione alla vittoria dello spirito umano sulla crudeltà e il diavolo, attraverso la sua straordinaria personalità e i suoi affascinanti libri». Ma Wiesel non fu solo il sopravvissuto alla Shoah e uno dei grandi cantori di quell’orrore nazista, fu anche un intellettuale militante, sempre coinvolto nell’attualità, in costante dialogo con le grandi questioni del presente: nel 1997 gli fu offerta la carica di Presidente dello Stato d’Israele, ma declinò cedendo così il passo a Shimon Peres. Una rinuncia che lo ha contraddistinto per la sua carica di spiritualità, con le sue contraddizioni e nel contempo quale cittadino del mondo, lasciando un’impronta di un uomo d’azione all’insegna di un ebraismo tradizionale dalla profonda e spontanea intimità.