Se la memoria ritorna alla storia
di Carla Pagliero e Diego Giachetti
Nel grumo dei ricordi delle protagoniste del libro di Barbara Beneforti (Il tempo dell’incanto, Tralerighe Libri, Lucca 2023) tutto sta insieme in un tempo al presente. C’è posto per la resistenza partigiana e la nonna staffetta sulla linea Gotica, per i nuovi antifascisti, messi in moto dal secondo biennio rosso, e per gli amori desiderati e non compiuti, per quelli realizzati e poi spezzati, per l’autoconsapevolezza di una nuova generazione al femminile. Brava e capace, l’autrice, nel ricomporre il racconto di tanti racconti, senza imprigionarlo in un tempo cronologico-capestro che avrebbe affievolito i sentimenti e le emozioni. Così, in questo modo, diventa possibile guardare “i posti dove ogni cosa deve stare”, in un riuscito amalgama tra vero e verosimile. La cornice storica, si legge nelle conclusioni, corrisponde al vero, fatti e personaggi sono immaginari.
Il racconto ha inizio da un triste ripiegamento della protagonista principale, Diana, nella casa del Toccio, una vecchia casa in un piccolo paese dell’Appenino tosco-emiliano, ancora dotata di cucina economica e focolare: la casa di nonna Fiammetta e nonno Cesare, montagnini orgogliosi con un passato da partigiani. Il Toccio è il rifugio ideale per tempi difficili, quando si sente il bisogno di rimettere assieme i cocci, ed è il contesto che fa da sfondo alla storia che si sviluppa un po’ come racconto personale un po’ come il racconto di un’epoca; è il posto stesso che promuove i ricordi, un po’ confusi, all’inizio, come i nomi che emergono un po’ per volta dal passato.
Dal paese e dalla provincia, Diana, se n’era andata negli anni Settanta per frequentare le magistrali e poi l’Università, a Firenze, dove le sue aspettative e i suoi sogni di ragazza avevano incrociato la vita di altri individui, e dove, sull’onda delle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, quel gruppo eterogeneo era diventato un corpo collettivo. Di quegli anni, bellissimi, la protagonista ricorda il suo primo (e forse unico) amore, di cui conserva vivo il ricordo del profumo del primo abbraccio: un misto fra fumo di sigaretta e lana di un maglione che implora d’essere lavato, e il gruppo politico e le loro vivaci e coinvolgenti riunioni. Gli anni più belli, perché vissuti con la consapevolezza di vivere in un eterno presente che trasmetteva effervescenza e promesse di una vita migliore, una vita che meritava di essere vissuta nonostante la stanchezza che comportava quel continuo agitarsi per correre da un’assemblea all’altra, incontri infarciti da tante discussioni e tante frasi alternate da mille “cioè” pronunciati a sorreggere una rivolta nutrita di utopia più che di progetto, e dove anche le giovani donne lottavano per costruire un’identità mancante che le loro madri non si erano preoccupate di trasmettere. Stavano cambiando il mondo, il loro mondo, e un po’ quel mondo le stava lentamente cambiando. Era come se il fuori fosse precipitato dentro di loro incantandole, complice una giovinezza che sembrava non finire, dentro pochi mesi o pochi anni gonfiati dal ricordo, riempiti da un quotidiano di luoghi, trascorso tra giornali, volantini, posacenere traboccanti di cicche, piatti da lavare accumulati nel lavandino.
L’incanto assume anche aspetti da incubo: il 12 dicembre 1969, con la strage di Piazza Fontana a Milano, l’11 settembre 1973, con il golpe in Cile. Gli anni inesorabilmente sono passati e come all’improvviso ci si è trovati “grandi”: il primo amore è scomparso senza alcun preavviso, il secondo anche: una morte rapida e inattesa. La felicità di quegli anni arruffati, concitati e densi, sembra essere sparita nel nulla. Del primo amore rimane un ricordo quasi ossessivo, forse perché le donne, a differenza degli uomini, sono più attaccate ai ricordi e parlano più a lungo con se stesse.
Il tempo dell’incanto è un viaggio a ritroso nello spazio che è anche tempo, e in questa incursione nel passato capita di ritrovare pezzi di vita che non si sono mai dimenticati. Diana ritrova le amiche di sempre, ricostruisce con loro la vecchia complicità fatta di chiacchierate e di segreti condivisi, ritrova vecchie sensazioni: il timbro di una voce, il profumo del caffè, il fumo delle sigarette, l’immancabile colonna sonora diffusa dal mangianastri a cassette -ma quanti Perfect days ci circondano che stentiamo a riconoscere? Dal fondo dei cassetti emergono anche un segreto sepolto dal tempo e un vecchio amore, le due vicende s’intrecciano e sono strettamente collegate, ma il tempo dell’incanto, legato ad un tempo perfetto e immutabile, rimane sullo sfondo assieme alla consapevolezza che non si può tornare indietro. E’ un bel racconto quello che ci consegna Barbara Beneforti, fatto di piccole emozioni e di momenti quotidiani, che ci fa apprezzare il piacere di una narrazione che diventa quasi diario personale.