SE L’INFORMAZIONE DEI FATTI “CRUENTI” È RIDONDANTE
Il diritto-dovere di cronaca non dovrebbe però eccedere per non esasperare i destinatari fruitori… “penalizzandoli” dal punto di vista psicologico
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Da sempre, quando accadono eventi in cui viene lesa la dignità e la vita delle persone, specie se enfatizzati dai mass media, si tende a “rievocarli” scrivendo libri o realizzando filmati, la cui diffusione può essere intensa o meno a seconda della “importanza” mediatica che si vuol suscitare. Scopo di tale “rievocazione” e conseguente diffusione sarebbe quello di prevenire tali eventi, ma in realtà è quello che ciò avviene? Personalmente, quale attento osservatore delle dinamiche sociali non credo, a differenza (quasi sicuramente) di quello che possono ritenere psicologi, psichiatri, sociologi o anche antropologi. Rievocare sistematicamente, soprattutto nei minimi dettagli, un evento cruento come l’uccisione di una persona, in realtà è come mettere il dito sulla piaga, creando una sorta di dramma nel dramma allargando così la ferita ancora aperta dei famigliari delle vittime; ancor peggio se sono ancora in corso le indagini investigative ed ogni altro procedimento giudiziario. Quello che invece si dovrebbe fare, oltre ad un breve cenno degli episodi in questione dopo averne data primaria ed esaustiva notizia, è rispettare il dolore dei famigliari, come pure della comunità coinvolta anche perché nel frattempo (purtroppo) accadono altri episodi di simile natura. In merito a questo mio disquisire, che non vuole essere insegnamento per alcuno, c’è da considerare che vi sono persone dalla mente “alterata”, o comunque non razionale, che si “inebriano” nel venire a conoscenza di fatti cruenti come quelli ad esempio legati alla sessualità, e il fatto che tali accadono ormai quasi quotidianamente ne sono la dimostrazione. Certamente è doveroso far sapere quello che accade attorno a noi, ma allo stesso tempo il ricalcare scene e dettagli come un bollettino di guerra ritengo per certi versi essere lesivo… Piuttosto sarebbe più opportuno confrontarsi tutti per studiare quali metodologie attivare per la prevenzione di tali misfatti in considerazione, ad esempio, che gli stessi non avvenivano sino a poco meno di due-tre decenni fa. Insomma, interrogarsi sulle cause di questa evoluzione volta a considerare meno, o per nulla, la vita umana. È pur vero che le scienze sociologiche e antropologiche come quelle relative alla criminologia si sono evolute, ma è altrettanto vero che non hanno (loro malgrado) contribuito ad illuminarci ai fini della comprensione di cotanta malvagità. Pertanto, non si sottovaluti l’iper produzione dell’informazione attraverso la moltitudine dei mezzi di comunicazione che, non a caso, sono fonti di conoscenza ma anche di alterata elaborazione della stessa; come dire che più si sa e più si rischia di intendere e/o fraintendere a proprio piacimento.
Un tempo il conoscersi tra persone di qualunque ceto avveniva in modo più naturale: telefonia fissa, incontri ludici, socio-culturali, professionali e magari anche durante manifestazioni di volontariato, per corrispondenza, etc.; oggi, oltre queste opportunità si sfruttano i molteplici social media: Facebook, Instagram, Tik Tok, YouTube, Twitter, Pinterest, Linkedin; mezzi che in alcuni casi danno la possibilità di creare un proprio o altrui profilo, anche falso, ingannando i destinatari che si vogliono raggiungere e ledere… Tali mezzi online non sono quindi privi di svantaggi, soprattutto per i giovani, quali: cyberbullismo, pubblicazione di informazioni private, predatori informatici, presenza ed accesso a contenuti inappropriati, dipendenza dai social media, fake news, phishing. In merito alle responsabilità alcuni anni fa in America gli amministratori delegati delle Big Tech (società quotate in borsa più redditizie al mondo, con considerevoli capitalizzazioni di mercato), erano sotto accusa per i rischi che i loro prodotti comportavano (e comportano) per bambini e adolescenti: «I vostri prodotti uccidono, avete le mani sporche di sangue», hanno accusato i senatori. I responsabili chiamati in causa si sono rivolti ai famigliari delle vittime affermando: «Nessuno dovrebbe affrontare quello che hanno sofferto le loro famiglie». Ora, se da parte di questi ultimi questa non è retorica mista a ipocrisia, che cos’è? A questo punto sarebbe interessante sapere cosa avrebbero da dire a loro “discolpa” i produttori di notizie divulgate sino ad ossessionare i destinatari, ossia tutti noi, una volta conosciuti i fatti ed eventualmente anche i relativi particolari, senza fare alcun cenno a concrete ipotesi di prevenzione degli stessi. In ambito giornalistico, ma è un luogo comune, si ha il diritto-dovere di cronaca, ma ciò non implica necessariamente la ridondanza che, per assurdo, come ripeto, in taluni casi potrebbe favorire (sia pur indirettamente) la replicazione di determinate azioni. Allora che fare? E soprattutto chi è preposto a “ridimensionare” le informazioni senza esasperarne il contenuto? Sono quesiti che sinora non ho recepito da nessuna fonte, ma intanto la scia delle incursioni sulla collettività diventa sempre più estesa: i mass media esercitano il loro diritto-dovere… senza stancarsi di “esasperare”, appunto, i destintari fruitori!