SEMPRE POCHI I MEDICI PER COPRIRE IL FABBISOGNO NAZIONALE
Il numero chiuso alla Facoltà di Medicina ha determinato nel tempo una grave carenza e, nonostante gli sforzi e l’abnegazione di molti camici bianchi, il periodo pandemico ne è stata l’ulteriore dimostrazione. Il futuro è nelle mani delle nuove generazioni di medici ma anche dei politici-gestori della Sanità pubblica. È necessaria una maggiore dedizione per i pazienti affetti da malattie rare e/o non diagnosticabili.
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)
Mai come in questo periodo nel nostro Paese si ha bisogno di incrementare la popolazione di medici, non solo perché la pandemia ha richiesto un “rinforzo” ulteriore (oltre ad aver causato il decesso di 370 medici), ma anche perché la carenza risale a ben prima dell’evento pandemico. Questo esercito di camici bianchi (coadiuvato dal corpus infermieristico, peraltro anch’esso carente, pare di 60 mila unità) è la spina dorsale del nostro SSN cui fa fronte ad una popolazione sempre più affetta da una o due patologie (in parte anche gravi, e talune non diagnosticabili), di cui sono affetti in particolare gli over 65. Sia pur con ritardi ed “intralci” politici vari, quest’anno è stato indetto il Test d’ingresso a Medicina gestito dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) che si è tenuto nei giorni scorsi nelle Università italiane, il cui esito è stato in gran parte deludente perché ancora una volta il numero chiuso ha colpito ancora. Dal primo sondaggio, dei quasi 60 mila studenti che si sono presentati lo scorso 6 settembre al test, è risultato che la metà non ha raggiunto nemmeno il punteggio minimo pari a 20, quindi idonei solo 28.793 contro i 38.715 dello scorso anno. Per la precisione gli iscritti di quest’anno erano 65.378 (ma vi hanno partecipato 56.775 contro i 63.972 dello scorso anno, quando parteciparono effettivamente 55.117). Quet’anno i posti a disposizione erano 15 mila, e gli studenti hanno avuto 100 minuti di tempo per rispondere a 4 quesiti di competenza di lettura e conoscenze acquisite negli studi, 5 di ragionamento logico e problemi, 23 sono stati i quesiti di biologia, 15 di chimica, 13 di fisica e matematica. Ma per sapere con certezza il punteggio minimo per entrare è necessario aspettare la graduatoria nominativa nazionale che verrà pubblicata il 29 settembre. Risultati quindi parziali e temporanei, ma intanto tra congetture e speranze è possibile ipotizzare che non si arriverà a coprire il fabbisogno, anche perché chi entrerà nelle aule della Facoltà dovrà affrontare il percorso accademico di 6 anni e, nell’attesa, i malati di oggi e quelli a venire dovranno “accontentarsi” dei medici in forza attualmente. Ma al di là dei numeri, che pur determinano le garanzie di cura e assistenza in ospedale e sul territorio, sarebbe interessante conoscere le reali motivazioni che hanno indotto i candidati a scegliere questa nobile professione. Probabilmente sono le più disparate, ma è facile intuire che prevalgono ragioni di predisposizione, generazionali (famigliari medici), l’intramontabile fascino del camice bianco e, diciamolo pure, taluni anche del fonendoscopio… esibendolo attorno al collo con una certa disinvoltura, come pure il desiderio di raggiungere una determinata posizione sociale e di guadagno. Per la verità sono tutte motivazioni valide, ma sarebbe ulteriormente interessante stabilire quella che prevale, da qui a mio modesto avviso l’individuazione del medico ideale! Lungi da me fare un processo alle intenzioni, ma resta il fatto che esercitare l’Arte-Scienza medica richiede anzitutto un impegno e una dedizione umanistica e umanitaria, inoltre deve costituire un dovere civico anche perché, come da sempre si dice agli interessati: «Nessuno ti ha ordinato di fare il medico!». Quale figura di paziente e nello stesso tempo di osservatore e divulgatore della Sanità sul campo da oltre sei lustri, ritengo che le nuove generazioni di medici nell’esercizio della professione siano per certi versi più “facilitate” avendo a disposizione sofisticate apparecchiature strumentali, sia per la diagnosi che per la terapia; contestualmente mi risulta che durante il periodo accademico di apprendimento, e anche in seguito, in pochi casi si esercita la Semeiotica medica e chirurgica, di cui ci sarebbe sempre bisogno in quanto è fondamentale. Tanto per rammentare, la Semeiotica rappresenta l’arte di rilevare i segni, i sintomi e tutti i dati riguardanti la patologia del soggetto in esame: solo un’attenta ed adeguata interpretazione di essi consentirà al medico di giungere ad una corretta diagnosi; la semeiotica chirurgica, così come la clinica, si occupa di un paziente cosiddetto “chirurgico”, al quale viene o potrebbe essere diagnosticata una patologia per cui sia richiesto un intervento chirurgico.
A Torino il Giuramento di 300 nuovi iscritti All’Albo
Come è consuetudine, anche quest’anno l’Omceo (Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) di Torino anche quest’anno ha organizzato la cerimonia di Giuramento dei neo iscritti all’Ordine, che si è tenuta sabato 17 settembre al Teatro Alfieri, e che ha visto come protagonisti anche i decani medici e odontoiatri con 50 anni di iscrizione all’Ordine. Incisivo ed invitante il messaggio del presidente dott. Guido Giustetto: «Siate vicini ai pazienti, la Medicina è una disciplina umanistica prima ancora che tecnica…». Nel corso della sua esposizione inaugurale hanno prevalso i concetti di dialogo, fiducia e attenzione al rapporto medico-paziente, sottolineando: «Occorre evitare che la Medicina diventi “sordomuta”, una pratica in cui l’ascolto e l’aspetto della relazione passano in secondo piano e il medico diventa soprattutto un tecnico». Ed ha aggiunto: «Se non si accetta che esistono comunque margini di incertezza, si rischia di cercare di arrivare per forza a una diagnosi definita, che il più delle volte è solo un’anomalia che non ha nessun significato dal punto di vista della salute del paziente. E quello che possiamo definire accanimento diagnostico». Considerazioni che non provengono soltanto da un esponente dell’Ordine, ma anche da quell’essere razionale e di pragmatismo di fronte ai bisogni dei pazienti che tutti i giorni, a vario titolo, devono spesso superare le difficoltà imposte dai costi e dalla burocrazia che non risparmia neppure la Medicina-Sanità. Ecco che gli attuali pazienti di oggi e di domani devono essere maggiormente confortati, sapendo che la figura del medico giovane ma coscientemente in ascesa per etica, deontologia, preparazione e umanità, può garantire il meglio di sé a fronte di patologie severe fidandosi nel contempo degli sviluppi della ricerca e, non di meno, dei politici-gestori anch’essi responsabili della nostra salute… superando quelle fatidiche “larve” che si chiamano spending review e raggiungimento degli obiettivi. Per concludere, sulla figura del medico molto si è scritto: romanzi, novelle, racconti di vita vissuta, aforismi. Fra questi mi sovviene: «Il medico è una sentinella della vita: è il custode dell’uomo sano».