Settant’anni di Repubblica. Ma quanto abbiamo imparato?
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Ogni anniversario (più o meno importante) che si vuole festeggiare rispecchia quel processo cosiddetto di “ritualità”, proprio per dare significato all’evento e per non dimenticare le origini delle stesso. Ma in concreto quanto può servire alla cultura di un popolo, come il nostro, sempre più “distratto” da una infinità di problemi (volendo elencarli sarebbe un mero eufemismo) che, nonostante tutti gli sforzi dei “protagonisti” reggenti la nostra attuale Repubblica cosiddetta democratica, non si riesce a risolvere come la corruzione, la criminalità quotidiana, l’evasione, la povertà, l’immigrazione e tanti altri ancora? Se festeggiare il 70° della costituzione della Repubblica Italiana ha voluto contribuire (nell’intento delle Istituzioni) a sensibilizzare l’opinione pubblica, oltre che ad “assolvere” un dovere di rito di elevato valore morale, io credo che ciò non sia stato (e non é) sufficiente non solo perché un rituale di ricorrenza viene dimenticato il giorno dopo, ma anche perché i problemi da affrontare restano… anzi tendono a moltiplicarsi. É evidente che non è mai sufficiente una ricorrenza per “imprimere” o “rafforzare” il senso civico di una popolazione, tanto meno può rappresentare una panacea per tutti i nostri mali che ci accompagnano senza tregua ogni giorno. A distanza di alcuni decenni conservo ancora nella mia libreria il volumetto “Sintesi di Educazione Civica – Ad uso della scuola secondaria superiore” a cura di Giuseppe Parisi, materia introdotta nel 1958 dal ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro (1957-1959); materia poi soppressa durante l’anno scolastico 1990/1991 e in seguito rinominata con la Riforma Gelmini (2008-2009) in “Cittadinanza e Costituzione”, una sorta di processo di reintroduzione che in concreto non attecchì. Inoltre, ricordo che nel 1988 Giovanni Goria (1943-1994), presidente del Consiglio Ministri (1987-1988) fece distribuire a tutti gli italiani il volumetto della Costituzione della Repubblica Italiana per ricordare a tutti i cittadini i valori e l’applicazione della stessa, con il risultato, però, che nei mesi successivi la gran parte vennero ritrovati per strada e nei bidoni della spazzatura… Personalmente ne raccolsi alcuni per darli a qualche mio concittadino, ma ne ebbi un rifiuto… A parte l’impegno economico della stampa di quelle poche pagine quello che più indignò fu il disinteresse per tale apprendimento etico-culturale dell’iniziativa, una mancanza di rispetto per le Istituzioni (“vilipendio morale”) e quindi una irresponsabilità sia individuale che collettiva.
Ma a parte questo episodio increscioso, è opportuno approfondire la conoscenza (nel concreto) e i valori dei 139 articoli della Costituzione. Ad esempio, nessuno mi ha mai saputo spiegare con quale criterio il Parlamento debba essere costituito da 945 Parlamentari (cosiddetti anche “Onorevoli”, anche se tale termine è ormai desueto ma duro a morire… chissà per quale ragione) suddivisi in 630 alla Camera e 315 al Senato; inoltre non mi è mai stato spiegato su quali basi vengono conteggiati i rispettivi emolumenti mensili (compresi i diversi benefit), tant’é che i parlamentari italiani, come è noto, sono i più pagati rispetto ai colleghi europei, in considerazione anche del fatto che la maggior parte di loro oltre al mandato esercitano (o fanno esercitare) la primaria professione: avvocati, notai, commercialisti, imprenditori, giornalisti, medici, etc. Ma a parte queste “dissertazioni” la cui concretezza non fa certo onore ne a loro e nemmeno al resto della cittadinanza, quello che più mi inquieta è il fatto che quando sono le Istituzioni a non rispettare la Costituzione nessuno mi sa dire come e chi debba procedere nei loro confronti. Classico è l’esempio del quasi mai citato e “rispettato” art. 3 della Costituzione (in particolare il secondo capoverso), che testualmente recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8,19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali. É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Inoltre, non mi è dato a sapere perché le Istituzioni centrali (con sede in Roma) non rispondono o rispondono dopo molti mesi e dopo vari solleciti alle interpellanze dei cittadini. Va da sé che quando un cittadino italiano è “toccato” in prima persona da un provvedimento legislativo è un suo diritto avere chiarimenti dal firmatario di quel provvedimento, e non dal “vicino di casa…”. Questa “non trasparenza” della appunto non comunicabilità tra Istituzioni e cittadini credo non sia un buon esempio di democraticità e coerenza, e ciò è in controtendenza con le nozioni di educazione civica che si vogliono impartire alla popolazione, i cui principi non a caso si ispirano alla conoscenza ed al rispetto della Costituzione. Molti altri sarebbero i quesiti in merito al rispetto della Costituzione, e vorrei concludere con quelli che definirei, per così dire, riassuntivi: «Quanto si è liberi nel nostro Paese alla luce dei fatti quotidiani? E soprattutto quali sono i reali limiti dei diritti pur osservando i propri doveri?». Non pretendo una risposta tout court da chicchessia, ma piuttosto dai destinatari che ci rappresentano, il cui ruolo è profumatamente retribuito, oltre che responsabile, mentre 5-6 milioni di cittadini della Patria vivono di stenti o sopravvivono per la generosità dei loro simili; per non parlare poi delle migliaia di detenuti comprovatamente innocenti… Altro che libertà!