SINTESI SULLE INNOVAZIONI NELL’AMBITO DELL’OCCUPAZIONE
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Come è ormai di consueto, anche questo benedetto Decreto sul Reddito di Cittadinanza (d’ora in poi RdC), definito “pomposamente” una rivoluzione per il mondo del lavoro, è entrato a far parte in un contesto sociale sempre più discusso a causa di una serie di ragioni come l’età pensionabile, la disoccupazione, il precariato, la povertà, etc. Ma di cosa si tratta? Vediamo insieme di fare un riassunto. È una misura di reinserimento nel mondo del lavoro con l’obiettivo di integrare i redditi familiari, facilitando nel contempo l’incontro tra domanda e offerta (lavoro), incrementare l’occupazione e contrastare la povertà e le disuguaglianze; aspetto quest’ultimo che a mio avviso rasenta l’utopia: la povertà esisterà sempre come pure le disuguaglianze (sic!). In realtà basterebbe rispettare l’art. 38 della Costituzione: “ I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”. Ma a parte queste osservazioni, chi ha diritto al RdC? I circa 5 milioni di persone in povertà assoluta, e bisogna essere cittadini italiani, europei e risiedere in Italia da almeno un decennio; avere un ISEE inferiore a 9.360 euro annui, il patrimonio immobiliare diverso dalla prima abitazione, mentre quello finanziario non deve superare i 6.000 euro, ma arrivare ai 20.000 euro per le famiglie con disabili a carico. Secondo le stime del Ministero saranno 255.000 i nuclei familiari con disabili che riceveranno il RdC. Tale reddito avrà la durata di 18 mesi, ed entro i primi 12 mesi la prima offerta di lavoro varrà nel raggio di 100 Km – 100 minuti di viaggio, se rifiutata la seconda offerta varrà fino a 250 Km, mentre la terza varrà per l’intero territorio nazionale; dopo il primo anno anche la prima offerta varrà fino a 50 Km., dopo i 18 mesi tutte le offerte varranno per l’intero territorio nazionale. La richiesta del RdC può essere inoltrata alle Poste Italiane per via telematica o al CAF, e in caso di accettazione i beneficiati verranno contattati dai Centri per l’impiego e seguiti da una apposita squadra al loro servizio. Va però precisato che possono essere esclusi dal RdC chi non sottoscrive il Patto per il Lavoro o per l’inclusione sociale, non partecipa (senza giustificazione) alle iniziative di formazione, non aderisce ai progetti utili per la Comunità, rifiuta la terza offerta congrua, non aggiorna le autorità sulle variazioni del proprio nucleo, e chi fornisce dati falsi. Ma il provvedimento prevede invece degli incentivi per le imprese che assumono i beneficiari del RdC al fine di agevolare l’imprenditorialità. Inoltre il Decreto contempla la Pensione di Cittadinanza (PdC) per i pensionati che vivono sotto la soglia di povertà, e che hanno i seguenti requisiti: ISEE familiare inferiore a 9.360 euro all’anno; un patrimonio immobiliare diverso dalla prima casa e non superiore ai 30 mila euro; un patrimonio finanziario inferiore a 6.000 euro, 8.000 se si è in coppia.
Per quanto riguarda la cosiddetta “Quota 100”, il decreto introduce il diritto alla pensione anticipata, senza alcuna penalizzazione, al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni, la cosiddetta “pensione quota 100”. Il ritiro dal lavoro sarà possibile, in prima applicazione, dal primo aprile 2019 per i lavoratori privati che abbiano raggiunto i requisiti indicati entro il 31 dicembre 2018 e dal primo agosto 2019 per i lavoratori pubblici che li abbiano maturati all’entrata in vigore del decreto. Inoltre, potranno andare in pensione dal prossimo primo settembre (inizio dell’anno scolastico) i lavoratori della scuola. Il decreto preve inoltre la possibilità di andare in pensione in anticipo con 42 anni e 10 mesi di contributi, se uomini, e con 41 anni e 10 mesi, se donne. Maturati i requisiti, i lavoratori e le lavoratrici percepiscono la pensione dopo tre mesi; la possibilità per le donne di andare in pensione a 58 anni se dipendenti e 59 se autonome, con almeno 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018; la non applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita per i lavoratori precoci, che potranno quindi andare in pensione con 41 anni di contributi. Anche in questo caso, il diritto al trattamento pensionistico decorre dopo tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti; il riscatto agevolato del periodo di laurea entro i 45 anni; la facoltà di riscatto di periodi non coperti da contribuzione, con una detraibilità dell’onere del 50% in cinque quote annuali e la rateizzazione fino a 60 mesi, a condizione di non aver maturato alcuna contribuzione prima del 31 dicembre 1995 e di non essere titolari di pensione; disposizioni in materia di pagamento del trattamento di fine servizio o di fine rapporto, che prevedono la corresponsione della relativa indennità sulla base di una specifica richiesta di finanziamento da parte degli aventi diritto, con la costituzione di uno specifico fondo di garanzia; l’istituzione del “Fondo bilaterale per il ricambio generazionale”, che prevede la possibilità di andare in pensione tre anni prima di quota 100 purché si abbia una contemporanea assunzione a tempo indeterminato. Infine, per quanto riguarda la cosiddetta “Pace Contributiva”, per il periodo 2019-2021, consiste nella possibilità di riscattare, su richiesta, periodi di buco contributivo non obbligatori per un massimo di 5 anni; il riscatto del periodo di laurea a condizioni agevolate entro i 45 anni; e le agevolazioni consistono nella detraibilità dell’onere del 50% in cinque quote annuali e rateizzazione a 60 rate mensili. Ora, volendo azzardare qualche riflessione, se nell’intendimento della maggioranza che ha votato per questo decreto gli obiettivi cui si è proposta erano (e sono) ridurre la presenza di povertà e il tasso di disoccupazione, come pure “riconsiderare” il valore delle pensioni e del pensionamento, bisognerebbe avere la classica sfera di cristallo per verificare la concretizzazione degli stessi; e questo anche perché sindacati, rappresentanti dell’imprenditoria e associazioni di disabili non sono così ottimisti ritenendo assai scarsi o nulli gli effetti positivi a loro favore. Io credo che decretare tali emendamenti che possono “condizionare” in qualche modo il destino di molte persone, richieda un’esperienza di lavoro sul campo e molta dimestichezza con la legislazione sia a monte che a posteriori. Mentre sappiamo che alcuni attuali governanti non possiedono in toto tali requisiti; per contro, eccellono in uno sfrenato (e incontenibile) presenzialismo di piazza e di salotti, cui seguono selfie e fragorosi applausi e persino qualche plateale baciamano… gli adulatori sono abili lettori del pensiero: ci dicono proprio quello che pensiamo. Ed è per questo che è meglio evitarli.