Siria: Cosa aspettiamo?
Sono mesi che sappiamo che il governo di Assad ha impiegato armi chimiche, a marzo la Francia lo ha denunciato in modo categorico dopo aver effettuato test di laboratorio su campioni raccolti in Siria. Le conclusioni sull’analisi sono apparse subito chiare: si trattava di gas Sarin. Il ministro degli esteri francese, Laurent Fabus, si era così espresso: “è evidente che si è superato una soglia che non doveva essere superata”. E già un generale dell’esercito di Bashar al Assad aveva dichiarato, dopo aver disertato ed essersi rifugiato in Turchia, che erano state usate armi chimiche in piccole quantità ad Aleppo. Del resto la Siria è uno dei 7 stati che non ha ratificato la convenzione sulle armi chimiche del 1997 che impegna i firmatari a distruggere gli arsenali in loro possesso. E Obama aveva ammonito il Paese che non doveva essere oltrepassata la linea rossa con l’uso di gas nervini sulla popolazione. Le organizzazioni umanitarie confermano oggi che i sintomi presenti nelle vittime dopo la strage dei giorni scorsi sono quelli di chi ha inalato gas contenenti fosforo, Sarin o una miscellanea di gas analoghi: 1300 persone sono morte, tra queste molti, troppi bambini, per i sopravvissuti, se ci sarà, la ripresa fisica sarà lunga e dolorosa. Mentre il governo di Assad nega addossando ai ribelli la responsabilità dell’uso dei gas e la comunità internazionale temporeggia ma invia un’ispezione ONU, la Turchia, non si sa mai, aumenta le sue difese al confine con il paese. La Russia e l’Iran minacciano gli Stati Uniti di evitare un eventuale intervento militare, perché le ripercussioni verso il Paese sarebbero preoccupanti. La situazione a livello internazionale è a dir poco esplosiva, ci sono in campo nazioni potenti, ma qui non si sta giocando a Risiko, qui è in gioco la vita di milioni di persone. E certo non possiamo restare a guardare.
Francesca Lippi