Soeren Kierkgaard contro il sistema hegeliano
di Ernesto Bodini
Un “curriculum vitae” del filosofo e poeta danese Soeren Kierkegaard, riferito a qualche intreccio di eventi esteriori o di impegni particolari di vita pubblica o accademica, è completamente insignificante: non si trova alcuna traccia nella sua vita che abbia un qualche rilievo o che possa aver dato nell’occhio nell’agitarsi comune ad ogni epoca, e l’Ottocento è stata certamente un’epoca fra le più agitate. Ultimo di sette figli, Soeren Kierkegaard nasce il 5 maggio 1813 nella casa paterna a Copenaghen. Nel giro di pochi anni rimane solo con il vecchio padre e il fratello Pietro. Nel 1830 Soeren si iscrive all’Università con l’obiettivo di conseguire il grado di Magister Artium, una meta che per diversi anni lo vede in profonde crisi sia perché educato in ambiente di austera severità religiosa, sia perché deluso fin dalla giovinezza delle dottrine idealistiche che dominavano la cultura del tempo. Nel maggio 1837 incontra per la prima volta Regina Olsen (1822-1904, nella foto in basso), con la quale si fidanza il 10 settembre 1840, ma poco meno di un anno dopo (l’11 agosto 1841), le rimanda l’anello e nell’ottobre dello stesso anno rompe definitivamente il fidanzamento a causa della sua convinzione di non poter compiere una vita normale (e quindi anche per non coinvolgerla), tematica che nel suo “tormentato” pensiero svilupperà come irriducibile individualità del singolo. Kierkegaard parlerà della sua relazione con regina solo anni dopo nel suo Diario. Questa parentesi, preceduta dalla morte dei genitori e di Poul Martin Moeller (1794-1838), suo professore, mentore e amico del cuore, completa in parte e per certi versi il quadro delle esperienze interiori di Kierkegaard che, portato a vivere i suoi ultimi anni in solitudine, si dedica all’attività di scrittore.
Il 29 settembre 1841 scrive e difende la tesi magistrale “Il concetto d’ironia con costante riferimento a Socrate” ottenendo il grado di Magister Artium. Nel 1843 scrive “Una cosa o l’altra” e “Timore e tremore”, cui seguono “Il concetto di angoscia” nel 1844 e “Momenti sul cammino della vita” nel 1845. Questi suoi studi sono l’espressione della sua esperienza religiosa e della sua lotta continua e aspra contro la logicità del “sistema” hegeliano in nome della vita interiore del soggetto individuale. Ossia, Georg W. F. Hegel (1770-1831) afferma che la «filosofia è necessariamente sistema», e ciò sta a significare che il sapere filosofico si sviluppa nei suoi vari ambiti secondo una concatenazione rigorosa, data dal procedimento metodico unitario della dialettica; sistema che comprende la logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito. Oltre a conoscere il tormento, in parte vissuto per libera scelta, Kierkegaard visse intensamente il dramma della sua anima e nell’eccezionalità della sua esperienza spirituale, vide la forma esasperata e tipica di quel paradosso che è la vita. Morì, quasi d’inedia, a soli 42 anni, nella convinzione che l’esistenza è una ferita che nella fede trova la sua cicatrizzazione.
MA QUALE IL REALE SIGNIFICATO DELL’ESISTENZIALISMO?
A torto o a ragione il grande pensatore danese può essere considerato padre dell’esistenzialismo, il quale, come molti pensatori dopo Hegel, si interroga in modo radicale sul significato di fare teoria: sulla forma, la legittimità, il senso del linguaggio teorico; concetti che si rilevano nelle sue opere scritte tra il 1843 e il 1844. Come si evince dagli Atti delle conferenze tenute durante la Settimana di Studio sull’Esistenzialismo, promossa dalla Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino durante l’Ottava di Pasqua dall’8 al 14 aprile 1947 (pubblicati dalla Casa Editrice Marietti, vol. XIII, 1947), la tematica esistenziale si può riassumere sinteticamente in alcuni punti. 1) L’Esistenzialismo mira soprattutto ad un orientamento fondamentale dell’essere; 2) fa precedere l’essere al pensiero; 3) riferisce l’essere e il valore “conclusivo” dell’uomo non tanto all’essere quanto all’esistenza; 4) vede la “situazione dell’uomo nella dialettica della sua personalità intesa come “spirito”; 5) diffida ogni astrazione pura applicata nell’essere “in quanto essere”; 6) vede l’attuazione dell’essere, il suo “compimento” nella forma di una “seconda concretezza. Da questi lavori (concepiti per l’epoca in cui sono stati espressi e scritti, ossia settant’anni fa) è quindi evidenziato che tutti gli esistenzialisti mantengono il principio che Kierkegaard difende nella Postilla conclusiva non scientifica del 1846, ossia che l’esistenza non si può ergere a sistema ma soltanto dell’essenza. Mi rendo conto che la trattazione di questa “disciplina filosofica kirkegaardiana” richiede competenze specifiche ed estesi approfondimenti; tuttavia ho voluto richiamare l’attenzione su questo autore di cui si è scritto molto, ma se ne parla poco e, per concludere, credo valga la pena riprendere ancora un passo degli Atti in questione, come ad esempio: «… non c’é libertà nell’esistenza se non dove il soggetto possa scegliere, nè dove l’oggetto non sia e non possa anche apparire adeguato o inadeguato… Parimenti l’oggetto della libertà umana è il bene, perché l’uomo non può scegliere se non il bene…». Se questo concetto assume rilevanza, a mio modesto avviso, l’umanità tutta è chiamata a rivedere il proprio stato esistenziale e con esso l’applicazione di quella libertà come Dio ce l’ha trasmessa.