Somalia: ucciso un giornalista a Mogadiscio

 

 

La vita delle persone che hanno scelto di fare giornalismo, si sa, è molto dura. Ma lo è ancor di più, quando si fa questa professione con passione e ci si dedica ad argomenti impegnativi, alla ricerca della verità, alla giustizia. Perché, facendo questo mestiere, in molti ci lasciano la vita, aggrappandosi a quegli ideali che si cerca di trasmettere attraverso le parole.

Mohamed Ibrahim Rager era un giornalista investigativo che lavorava per la televisione nazionale e per Radio Mogadiscio, uno di quelli che danno fastidio ai poteri forti o a quelli che comandano, perché fanno troppe domande, investigano troppo a fondo e lasciano spesso che il dubbio si insinui nella mente delle persone. Un giornalista che fa questo per passione, come ce ne sono tanti in molti paesi del mondo, e si, anche in Italia. Solo che Mohamed Ibrahim Rager era un giornalista somalo e lavorava, dopo anni di esilio in Kenya e Uganda, nel suo paese.

Il reporter personaggio scomodo, è stato ucciso a colpi di pistola nei pressi della sua abitazione a Mogadiscio, freddato come tre suoi colleghi. Lui è il quarto giornalista che viene ucciso dall’inizio dell’anno in Somalia. ma la Somalia è troppo lontana dai mass media europei. È un paese che non riesce a superare le lotte tribali di potere, che non è riuscito a superare tutte le incomprensioni e vive in una eterna lotta interna che non fa più notizia, perché è diventata normalità. È normale che si continui la guerra, è normale che la maggior parte della popolazione muoia di fame, è normale che ci sia la carestia, dove milioni di bambini muoiono lungo le strade, stremati e senza acqua, ma non è normale che ci siano persone che cercano di battersi contro le ingiustizie.

È alta l’attenzione del sindacato nazionale dei giornalisti del paese del Corno d’Africa, poiché la morte di quattro reporter dall’ inizio dell’anno, sembra proprio una strage, un modo per massacrare e mettere paura a chi, invece, continua a svolgere il proprio lavoro per informare.

È proprio vero che alle mafie, alle dittature, le parole fanno paura, perché si insinuano nella mente delle persone e alla fine risvegliano i loro animi diventando avversari implacabili contro cui combattere.

Fonte: Teresa Corrado www.gliscomunicati.com

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