Stefano Benni: veggente in un Paese di ciechi
La compagnia dei Celestini non ha certo bisogno di presentazioni né di recensioni. Ma, di questi giorni, una riflessione sul famoso romanzo di Stefano Benni credo possa avere la sua utilità. Perché se da un alto mi preoccupa la nostra sempre più grave miopia, dall’altro non perdo la speranza che esistano oculisti e ottici in grado di migliorare la nostra capacità visiva.
Nella sua Bibbia laica e irriverente, Benni include tutte le specie umane: cattivi senza rimorsi, cattivi che si pentono, finti buoni, finti cattivi, … senza dimenticare gli indefinibili, né buoni né cattivi. Specie diverse tra loro ma che, come nella realtà, condividono lo stesso imprevedibile destino, perché la sorte e la morte non guardano in faccia a nessuno.
E tra le tante facce – belle, da schiaffi e, soprattutto, di bronzo – che affollano queste pagine spicca quella di Mussolardi, sordido individuo che racchiude in sé tratti del Duce e del Cavaliere. Del primo soprattutto nel nome, del secondo persino nei capelli trapiantati. Non ci sarebbe certo da stupirsi per questo ed altro se Benni avesse scritto La compagnia dei Celestini recentemente, ma stiamo parlando del 1992 e mancavano ancora due anni alla “discesa in campo” di Berlusconi, undici anni alla sua riabilitazione di Mussolini nel Giorno della memoria…
Non solo i personaggi, però, sono estremamente attuali: anche la deriva morale che fa da contesto alla storia sa fin troppo di contemporaneo. Vi ritroviamo, quindi, quel circo grottesco in cui ogni giorno ci muoviamo, quel circo che, molto tempo dopo Benni, Niccolò Ammaniti ha ben descritto nel suo Che la festa cominci. E in questa narrazione fantasiosa, tra una scena esilarante e l’altra, ci troviamo faccia a faccia con orrori che di primo acchito bolliamo come incredibili ma ai quali, un attimo dopo, non ci sentiamo di negare tracce di verosimiglianza.
E se Benni questa deriva – in grado di distruggere tutto e tutti, anche bimbi innocenti – l’abbia vista con vent’anni di anticipo o se esistesse già 20 anni fa, poco cambia: l’una o l’altra che sia, c’è poco da stare allegri. Perché veggente o no che sia stato lui, certo è che noi siamo stati e siamo tuttora ciechi, se non anche sordi.
Riprendendo, dunque, il passaggio riportato nella quarta di copertina («Spesso il destino non distingue tra colpevoli e innocenti. Perciò, se qualcuno di voi ha paura, è libero di andarsene.») mi vien da dire: abbiate paura di questo libro, abbiate paura di ciò che gli uomini sono capaci di fare.
Ricordate, però, che non tutto è perduto: se siamo qui a parlare ancora, vuol dire che la finale delle finali del campionato mondiale di pallastrada non è ancora stata giocata e che il risultato definitivo non è ancora noto.
Nel frattempo, da queste parole del Grande Bastardo proviamo a ricavare un paio di buone lenti:
«[…] È proprio dei giovani come voi essere affascinati da stregoni e sortilegi, e pensare che a essi sia riservato il privilegio di donare la fortuna e cambiare la vita.
Ma esistono altre persone che compiono miracoli e prodigi, nascoste negli angoli delle città e della storia.
[…]
Se vedi una persona che non si rassegna alle cerimonie dei tempi, che prezioso e invisibile aiuta gli altri anche se questo non verrà raccontato in pubbliche manifestazioni, che non percorre i campi di battaglia sul bianco cavallo dell’indignazione, ma con pietà e vergogna cammina tra i feriti, ecco uno stregone.
[…]
Se ti dicono: è troppo facile starne fuori, vuole dire che loro ci sono dentro fino al collo.
Vai lontano, con un passo solo.»