“Storia di un corpo” di Daniel Pennac

Libro profondamente introspettivo, racconta la trasposizione della corporeità e il quotidiano universale di chiunque.

Dal ritorno dal funerale del padre, Lison riceve un regalo inaspettato: il diario di suo padre.

Un uomo all’apparenza così riservato e pudico nell’espressione dei sentimenti, che lascia come ultimo regalo, un insieme di piccoli frammenti di vita, di microscopici spazi necessari che tolgono il fiato per la bellezza e di grandi aspirazioni che fanno vibrare l’anima.

Entrarsi dentro probabilmente è il messaggio che vuole mandare Pennac. Viversi! Guardarsi allo specchio, mettersi a nudo con sé stessi e non avere paura di farlo; perché alla fine la paura cos’è? Terribile sensazione che svuota l’anima e che coglie sempre di sorpresa.

La mamma anaffettiva, il padre adorato nel suo languore e imitato in tutto perché considerato dal figlio un idolo, la nutrice affettuosa e sua compagna adolescenziale, Violette.

Da qui parte il cammino di quell’uomo che ha fatto del suo corpo oggetto di esperimento, ponendolo al centro dell’osservazione, il suo corpo e la sua fisicità.

Il corpo abbandona la vetrina e si mette allo specchio: si relaziona con sé stesso, con le azioni prima compiute inconsapevolmente, poi necessarie, con le necessità, esigenze e con il divertimento.

Sono pagine brevi, frasi disseminate che raccontano la vita di un dodicenne, la sua crescita, intimità, fino alla maturità.

Incosciente di quale sarà il suo destino, il protagonista scrive il suo diario, elencando esperienze di vita ovvie, che costituiscono, però, la strada del suo destino.

La vita non è altro che un insieme di banalità, eventi ovvi, scontati, di dolori forti come lancinanti fitte allo stomaco.

Ed è con ironia, semplice fruizione linguistica che l’autore, spaziando lungo un percorso di vita, scuote il lettore a scoprirsi, a rivelarsi a sé stesso, a squarciare quella naturalezza passiva del viversi e a chiedersi “perché?”

Invita con questa grammatica corporea a prendere in mano la nostra vita e a difenderci da noi stessi, dalle sensazioni che ci colpiscono all’esterno, come un pugno, a quelle che toccano il cuore e lo struggono, come la morte di un figlio, la gioia del primo amore, il piacere effimero dell’orgasmo.

In un periodo storico post-bellico, ricco di timore e fragile, l’uomo può convivere solo con la sua corporeità.

Un’esistenza a termine, ma irriducibile.

Il protagonista cresce ed invecchia, fino a giungere all’agonia, ormai privo di forze, è impossibilitato a scrivere, perché significherebbe pensare senza il proprio corpo.

Non esiste finale; l’autore ci lascia soli con un non-finale, come se da lì dovesse partire un’altra vita, la nostra! Quindi? Ascoltiamoci con cura e leggiamo questo libro, dedicato dall’autore “a tutti coloro che hanno un corpo”.

Asia Vullo

Palermolegge

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