Tagliato fondo solidarietà vittime della mafia. Intervista a Giovanna Maggiani Chelli
27 maggio 1993, ore 1.04, Via dei Georgofili, Firenze: una macchina imbottita di esplosivo squarcia il silenzio della notte e uccide Caterina Nencioni, di appena 2 mesi, Nadia Nencioni, 9 anni, Dario Capolicchio, 22 anni, Angela Fiume, 36 anni, Fabrizio Nencioni, 39 anni. Ferisce anche quasi 50 persone.
La bomba viene da subito attribuita al disegno stragista mafioso che in quegli anni stava disseminando l’Italia di tritolo continuando a lasciare a terra decine di corpi innocenti dilaniati e martoriati, nel 1992 con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio e nel 1993 con quelle di Firenze, Roma e Milano; ma la verità, quella vera, sui mandanti della strage di Via dei Georgofili non è mai affiorata.
Abbiamo intervistato Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Via dei Georgofili, che durante questi 18 anni ha lottato e continua a lottare per ottenere la verità su chi è stato, e perché.
“Signora Maggiani Chelli, un recente studio effettuato dall’Associazione Libera e pubblicato al link http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=15198 fornisce un dato piuttosto amaro: su un campione di 759 studenti toscani, il 67,5 % di loro non ha mai sentito parlare della Strage di Via Dei Georgofili. Vuole raccontarci cosa successe quel 27 maggio del 1993 a Firenze?” –Intanto contesto il dato perché non è verosimile, visto che non tutti i licei fiorentini erano presenti all’incontro al quale lo studio si riferisce, ovvero tale studio non prende in considerazione gli studenti di quei licei che noi abbiamo incontrato durante questi anni e ai quali abbiamo ampiamente spiegato cosa è stata la strage di via dei Georgofili. Non più tardi di dieci giorni fa a Pistoia abbiamo incontrato 300 studenti dei licei fiorentini e tutti in assoluto sapevano benissimo cosa è stata la strage di via dei Georgofili. Detto questo per amore di verità, quello che è successo la notte del 27 maggio 1993 ha dell’incredibile ancora oggi: quasi 300 chili di tritolo hanno potuto esplodere indisturbati nella civilissima Firenze senza che un cane si accorgesse di ciò che stava per succedere sotto l’Accademia dei Georgofili. Ovvero in barba a tutta l’antimafia vigente in Italia, la mafia Cosa Nostra ha colpito Firenze al cuore, e soprattutto ha ammazzato i nostri figli, con il consenso di troppi, visto che lì, a contrastare la mafia, non c’era nessuno. Di stragi del 1993 non si parla perché non se ne deve parlare, vista la trasversalità di tutto l’arco costituzionale per quei massacri.
“Qualche suo familiare rimase coinvolto nell’attentato?”
Si, un figlio.
“Secondo Lei perché nelle scuole non si parla abbastanza di questi gravi eventi che appartengono all’Italia?”
Perché l’accesso alle scuole per ora è solo consentito a mestieranti dell’informazione sullo stragismo mafioso e poco a noi, la scienza diretta. A volte si ha l’impressione che gli scopi d’ingresso alle scuole siano meramente politici. Però questo non è vero fino in fondo perché noi abbiamo avuto spesso accesso alle scuole, per ciò che rappresentavamo, senza ideologie di parte, ci sono quindi secondo noi anche insegnanti illuminati.
“Che cosa ricorda di quel giorno del 1993? In che modo ha cambiato la Sua vita?”
Ricordo tutto per filo e per segno: lo squillo del telefono, la corsa verso Firenze con i genitori del Capolicchio, il dolore, l’angoscia, la disperazione davanti ai morti, davanti ai feriti, davanti all’ipocrisia, davanti a chi già fin dalle prime ore voleva salvarsi il sedere e davanti a chi faceva finta di non sapere e già sapeva. La mia vita è stata totalmente stravolta, nel 1996 ho dovuto lasciare il lavoro di una vita , mia figlia (ferita nell’attentato ndr) era in difficoltà, i processi contro la mafia cominciavano e io non sapevo più neppure chi ero, tanto ero cambiata.
Di che cosa si occupa l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili?
Si occupa del perseguimento della verità sulla strage più vigliacca che la storia d’Italia ricordi, e di supportare le vittime in ogni sede; in ultimo si occupa della conservazione della memoria di un evento tragico per l’Italia, anche se ricordare con ostinazione le stragi, dalla strage di Portella della ginestra a oggi, non è servito a granché. Quando il sistema ha bisogno di destabilizzare e stabilizzare insieme, per coprire ruberie, le più inaudite, allora reitera la strage , punto e basta. In Italia si fa così, non si va in galera per aver dissanguato il Paese; si ammazza la gente innocente, e funziona perdio!
“Il 1993 è stato l’anno delle stragi nel “Continente”: crede che dietro a questi attentati ci fosse un ricatto di Cosa Nostra per ottenere benefici dallo Stato o che invece vi sia stata una regia stragista coordinata da forze che avevano interessi esterni a quelli mafiosi?”
Credo fermamente che, come sempre, anche per le stragi del 1993 ci fosse un movente forte comune alla mafia e a chi con la mafia ci va a braccetto. In quel contesto stragista la mafia ha unito l’utile al dilettevole e mentre faceva un favore a qualcuno, oltre che a se stessa, ha anche presentato un elenco di richieste allo Stato attraverso i suoi canali , ovvero stravolgere norme e girare le leggi antimafia a suo vantaggio (terrorismo eversivo. Tutto ciò mentre faceva saltare l’Italia affinché i suoi reali interessi, quelli economici (che erano poi gli interessi anche dei colletti bianchi), venissero salvaguardati attraverso la copertura di indagini in corso di uomini che partecipavano a grandi traffici attraverso canali istituzionali. La copertura fu il tritolo, come sempre del resto.
“Recentemente il ministro Roberto Maroni ha dichiarato che durante l’ultimo governo Berlusconi ”In media sono stati catturati otto mafiosi al giorno e un superlatitante al mese”: Lei crede che rispetto agli anni novanta la lotta alla mafia oggi si sia realmente rafforzata e sia più ferrea ? Crede che le istituzioni oggi siano seriamente impegnate in questa lotta?”
No. Non lo credo. E’ come sempre, una grande facciata e nessuna sostanza. Anzi si ha come l’impressione che la trattativa con la mafia che ha travolto i nostri figli sia ancora in corso. Credo che oggi più che mai sia in corso per salvare i beni della mafia, quei beni che gli confiscano, ma che poi non si sa perché restano o tornano alla mafia. Ma come ben si sa, noi siamo dei sentimentali: ci basta coltivare i pomodori in terra di mafia e illuderci che quei terreni siano di nuovo della collettività. Infatti basti guardare al tasso di disoccupazione per capire come quei beni della mafia siano realmente tornati allo Stato.
“A proposito appunto delle cooperative antimafia sorte sui terreni confiscati alle cosche, Lei quindi non crede che questi territori siano realmente tornati in mano alla collettività?“
Non vorrei essere fraintesa, io sono molto vicina ai ragazzi che vanno sui campi della mafia a lavorare. Ci credono fortemente ed è encomiabile. Credo meno a tutti questi trionfalismi di esproprio e conseguente ritorno alla società civile defraudata dei suoi diritti dalla mafia. Troppi beni espropriati con fatica da forze dell’ordine e magistrati tornano poi alle famiglie mafiose. Non perché lo Stato li mette in vendita e loro se li comprano, come si ama dire, ma perché spesso è difficile rendere l’esproprio, giudiziariamente parlando, effettivo. Ci sono potenti famiglie mafiose che, vivendo lontane dalla Sicilia, hanno potuto dimostrare che nulla avevano più a che fare con la famiglia d’origine e i beni confiscati, in Toscana, per esempio, hanno dovuto essere loro riconsegnati. Potrei fare i nomi, mi sono documentata presso la Procura di Palermo, ma a che servirebbe? Ripeto, credo nella buona fede dei giovani che vogliono combattere la mafia e vanno ad affondare le mani in quelle terre cercando un futuro migliore per sé stessi e per gli altri. Ma quanta buona fede c’è in chi gestisce oggi la confisca e la redistribuzione dei beni alla mafia? Infatti noi che abbiamo portato la mafia in causa civile, quando è stato il momento di accedere al fondo 512 (il fondo di solidarietà per le vittime dei reati mafiosi NDR), che si alimenta proprio con i beni confiscati alla mafia, il fondo era senza una lira. Abbiamo penato moltissimo, e oggi il fondo non solo è alimentato da pochi euro, ma lo hanno pure tagliato in sede di finanziaria per salvare l’Italia dal debito pubblico. Tra l’altro, se davvero tutto ciò che appare in sede di confisca di beni illeciti alla mafia fosse vero, di debito non ce ne sarebbe: il denaro ricavato basterebbe e avanzerebbe per saldare il debito pubblico di tutta l’Europa, il problema è che le confische sono un’utopia. A mio avviso, certo.
“Se dovesse dare un consiglio a noi giovani, cosa ci inciterebbe a fare di concreto per lottare contro la mafia?”
Ragionate con la Vostra testa, pretendete sia sempre sancito il vostro diritto allo studio, il vostro diritto al lavoro a tempo indeterminato; e non consentite a nessuno di condizionare il vostro voto qualunque esso sia; se vorrete cambiarlo sarà perché avrete capito cose diverse, ma voi avrete capito, non altri per voi. Chiunque bussandovi alla porta vi metta in mano un fax simile di scheda elettorale con sopra una croce già tracciata, è in mala fede.
Grazia D’Onofrio