Torna alla ribalta una “analisi” dell’antropologia lombrosiana
Anche l’Editoria “minore” si interessa di Criminologia
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
In fatto di criminologia l’editoria (anche quella cosiddetta “minore”) sembra nutrire un certo interesse, in particolare per quanto riguarda l’ormai ultra secolare storia lombrosiana. Recentemente, infatti, la Edizioni Della Goccia ha dato alla stampe “Un delitto senza colpevoli – L’antropologia di Cesare Lombroso tra crimine, genio, arte e follia” (pagg. 208, € 12,00) del giovane scrittore vercellese Maurizio Roccato, con la prefazione di Melchiorre Masali, già professore ordinario di Antropologia Fisica all’università di Torino. La presentazione del volume, che si è tenuta nei giorni scorsi alla Tranchitella Educational Service di Via Giannone 10 a Torino, ha ben evidenziato la stesura di un linguaggio divulgativo pur mantenendo il rigore come si confà ad un’opera saggistica, lungi da un taglio di tipo tecnico-scientifico; una scorrevole lettura volta (per certi versi) ad un “ripasso” di alcuni aspetti che hanno caratterizzato il lavoro e il “credo” dello scienziato veronese. Una lettura che ben si adatta, quindi, anche al lettore “non del mestiere”. Diversi i capitoli che possono stimolare la curiosità individuale o collettiva; fra questi, ad esempio, quello dedicato ai manufatti realizzati dagli internati in manicomi, «che fino agli anni ‘50 e ’60 (dell’800) – ha spiegato l’autore – potevano esprimere la propria creatività non essendo sottoposti a trattamenti farmacologici che ne inibivano la personalità». Ma ciò che più incuriosisce è il capitolo dedicato all’Arte della Follia, ovvero all’Art Brut (arte grezza), l’arte praticata da persone, come i detenuti, senza alcun riferimento o base culturale, utilizzando materiale povero e realizzando manufatti solitamente per sé stessi…
Tra gli interventi in programma di sicuro stimolo quello dello psicologo e criminologo Pietro Tranchitella che ha messo in risalto i diversi quesiti che potrebbero derivare da questo argomento: criminali si nasce o si diventa? Abbiamo mai commesso (idealmente) un reato? Qual è il crimine vero e proprio? Ed ancora: cosa si intende nel comportamento umano per devianza? Nel tentativo di approcciare qualche risposta il relatore ha sottolineato che bisogna anzitutto distinguere cosa significa una “norma” e cosa vuol dire “deviare” da una norma, e soprattutto capire cosa spinge una persona a commettere un reato o nella fattispecie un crimine. «Generalmente – ha spiegato – sono bisogni primari come la sopravvivenza, la fuga da un qualche cosa o da qualcuno, la gestione e difesa del proprio territorio di fronte a determinati eventi, soprattutto attraverso la sessualità, la riproduzione e la garanzia della specie, ma nel momento in cui predomina l’istinto rettiliano, non c’é spazio per (il rispetto) di altri esseri umani». In effetti potremmo essere potenzialmente tutti soggetti a delinquere (probabilmente per indole naturale), e ciò se ci trovassimo nelle condizioni in cui i nostri bisogni primari venissero non soddisfatti, od ancor peggio, negati…, e se non si è stati educati nel distinguere il bene dal male allora è quasi inevitabile un comportamento che va oltre la razionalità e in questo contesto, bisogna stabilire la capacità di intendere e volere del reo. «Aspetto questo – ha precisato Tranchitella – che non è sempre facile stabilire, e per il quale il giudice ricorre alla consulenza di esperti del settore: psichiatri, psicologici clinici, e non criminologi…». Del resto, va anche detto, per sfatare un mito sempre più ricorrente tra i mass media, che il cosiddetto “raptus” (secondo gli esperti) come concetto di azione non esiste, in quanto sono gli estremi e lo sviluppo di una situazione di difficoltà di mantenimento dei rapporti interpersonali che esplodono per una patologia pregressa…
E a proposito di mass media, notevole è la divulgazione della “storia lombrosiana” attraverso moltissimi articoli e approfondimenti (come pure le pubblicazioni editoriali), con titoli più o meno altisonanti, talvolta di parte tal’altra più vicini alla storiografia e al confronto tra la concezione culturale dell’Ottocento e quella più vicina al nostro secolo. A questo riguardo, intervenendo in qualità di moderatore e co-relatore, ho precisato che «ammettere, soprattutto oggi, che la criminalità è un fenomeno di natura prettamente biologica vorrebbe dire evitare di disquisire sulle responsabilità della società nelle genesi dei comportamenti devianti e, nel contempo, introdurre una revisione radicale dei principi di imputabilità e responsabilità che vanno a “sollecitare” gli aspetti vitali dell’organizzazione sociale».
Volendo contenere la critica nei confronti degli antropologi positivisti, in seguito compendiata da Antonio Gramsci (1891-1937) il quale dimostrava una particolare intimità con gli scritti dello scienziato veronese, come si evince, ad esempio, da “Le lettere dal carcere”, con l’affermazione: «La scienza rivolta a schiacciare i miseri e gli sfruttati», Lombroso (nella foto) ha cercato di far conciliare l’ideale illuministico dell’emancipazione e della filantropia con una politica penale repressiva: al delitto, fenomeno innato, deve corrispondere un esteso progetto di riforme e di controllo sociale, al quale lo scienziato ha dato il nome di “nuova terapia criminale”, precisando: «Piuttosto che curare il delitto quando è già adulto, noi dobbiamo tentare di prevenirlo, se non distogliendo, che sarebbe impossibile rintuzzando l’influenza delle cause sopra studiate». Lombroso è indubbiamente una delle figure di scienziato italiano più note a livello internazionale, per la sua epoca naturalmente. Pier Luigi Baima Bollone, ordinario emerito di Medicina Legale a Torino ed esperto antropologo, non ha dubbi: «… il contributo del Lombroso è stato di grande importanza per tutto il successivo sviluppo della giurisprudenza penale del XX secolo». E la sfida continua… anche con quest’ultima pubblicazione del giovane scrittore vercellese.