Torna utile la (ri)lettura di “Nemesi” di Philip Roth
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Parlare di malattie attualizzandone l’importanza sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico non è solo un dovere degli operatori sanitari, ma anche di chi è preposto a divulgare: istituzioni, giornalisti, scrittori, etc. Tutti con l’intento non solo di informare radicalmente la popolazione ma anche di “educarla” e responsabilizzarla affinché nessuno possa dire: «Non sapevo!» Ma perché ancora oggi parlare di poliomielite quando l’Oms dal 2000 ha reso il mondo “polio free”? Nonostante gli scienziati Jonas E. Salk e Albert B. Sabin abbiano realizzato l’arma vincente per debellarla, ossia i rispettivi vaccini, purtroppo oggi, per diverse ragioni, di questa patologia da alcuni anni sono presenti alcuni focolai e precisamente in Afghanistan, Pakistan e Nigeria che, se non controllati l’infezione virale potrebbe ripresentare un problema di serio impegno per la difesa sociale.
Ma dal punto di vista della letteratura sull’argomento della poliomielite l’editore Einaudi ha pubblicato “Nemesi” (2012) di Philip Roth (1933), lo scrittore americano famoso per aver vinto il Premio Pulitzer nel 1997, e autore di molte altre pubblicazioni. Con questo romanzo, ambientato a Newark (New Jersey – USA) l’autore rinnova la sua estrema capacità narrativa descrivendo l’epidemia della poliomielite che nel 1944 ha colpito la sua città. Una epidemia atroce che il virus responsabile (The Clipper: “Lo storpiatore”, come era chiamato dagli americani) che mieteva vittime soprattutto in estate, solitamente bambini in età prescolare e che in gran parte restavano paralizzati oltre a numerosi decessi. In particolare lo scrittore narra la struggente vicenda di Bucky Cantor, un animatore di campo giochi che conduce una strenua battaglia contro la terribile malattia. La voce narrante Arnold Mesnikoff e Bucky Cantor erano entrambi vittime dell’epidemia di polio, ben prima che il vaccino ponesse fine a questa tragedia che ha interessato molti Paesi del mondo. Il “killer” era invisibile tanto che diversi sono stati gli “espedienti” per non essere contaminati: «Si era anche proposto – racconta l’autore – di non far più venire nel quartiere le donne delle pulizie di colore, per paura che fossero loro a portare dai ghetti neri i germi della polio. Un uomo disse che secondo lui la malattia si attaccava attraverso le banconote che passavano di mano in mano. E la posta, disse qualcun altro, non potrebbe attaccarsi attraverso la posta?». Sono state ipotizzate ulteriori fonti di contagio quali cani randagi, piccioni, zanzare, l’acqua delle fontane, etc. e nessun rimedio pareva essere utile… Una struggente realtà raccontata con “l’enfasi” letteraria e che va oltre gli episodi del vissuto, ma che gioverebbe a chiunque leggere (o rileggere) per conoscere una parentesi storica che tanto ha coinvolto lo scibile della Medicina, della Microbiologia e Virologia in particolare. Un romanzo che consiglieri anche alle future generazioni di medici, poiché, come è ovvio, sapere e non sapere fa sempre la differenza! Una Nemesi letteraria che potrebbe far luce sulla cultura di quei popoli dove sono ancora accesi i focolai della poliomielite, con la speranza (o forse illusione) di poterli spegnere per non “vanificare” gli sforzi e i meriti di chi ha creato il vaccino peraltro fruibile, sia allora che oggi, a bassissimo costo. Una eredità assai preziosa. Perché sprecarla? Le vaccinazioni sono la cura, l’ignoranza attiva e l’indifferenza sono ulteriori forme virali.