Tradizione ed etica dei proverbi
Tra storia e saggezza
Filosofi, poeti, prosatori geniali e cultori d’ogni tempo e di ogni paese se ne compiacquero e li ebbero in grande onore. Sto parlando dei proverbi di cui la nostra lingua, come tutte quelle di antica civiltà, è molto ricca e la cui origine si perde nella notte dei tempi. La maggior parte dei proverbi, di cui facciamo uso nel linguaggio corrente con espressione linguistica o dialettale, è forse il risultato di una frase pronunciata da un antico filosofo, greco o latino, oppure dai versi vergati da un poeta vissuto prima di Cristo o durante il Medioevo. «Ma in realtà i proverbi, che poggiano su basi ben più elevate – si legge tra le note introduttive del Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali di Augusto Artahaber – hanno la loro etica, la loro teologia, i loro concetti riguardanti l’uomo nelle sue attinenze con i suoi simili, con sé stesso, con Dio; per quanto molti non abbiano un contenuto di sapienza pratica, come per esempio quelli relativi alla meteorologia ed agricoltura, e quindi non muovono dall’alto, ma partono dal basso».
È da notare che la frase originaria, nella traduzione, è risultata spesso più breve per favorirne l’incisività; ma il significato, il senso e l’ammonimento sono rimasti fondamentalmente inalterati. Tuttavia, non tutti i proverbi popolari hanno un’origine che possiamo definire classica: alcuni motti e detti proverbiali sono nati spontaneamente nel popolo grazie alla sensibilità e all’acume di qualche sconosciuto. Tutti i proverbi, o quasi, dunque, ci furono tramandati dalla più remota antichità, sia attraverso testimonianze verbali che scritti di autori primitivi. I Greci li ebbero dall’antico Oriente e li trasmisero ai Romani, dai quali passarono poi in tutte le lingue del mondo occidentale, soprattutto per opera di Ersamo che, nel suo “Adagiorum collectanea”, tradusse molti proverbi greci e latini, in seguito diffusi in tutta Europa. Per soddisfare la curiosità del lettore ne cito alcuni dei più noti.
Chi non ricorda “Un bel tacer non fu mai scritto?” Il motto sintetizza un celebre distico del poeta e drammaturgo Metastasio (Roma 1698-Vienna 1782), che suonava: “Un bel tacer talvolta ogni dotto parlar vince d’assai”. Proverbio non privo di saggezza e sempre attuale che oggi potremmo completare con “Il più bel parlar non fu mai udito”, quasi a voler ricalcare “Il silenzio è d’oro, la parola è d’argento”. Altro famoso detto di cui non si conosce l’autore è il classico “Chi dorme non piglia pesci”. È stato inventato da un uomo mattiniero che rimproverava il fratello pigro e sfaccendato o da un pescatore accanto ad un amico addormentato sull’amo? Ma altri proverbi non meno curiosi hanno alimentato la fantasia ed il buon gusto del genere umano. Ricordo ancora “Chi troppo abbraccia (vuole) nulla stringe”; una frase di origine incerta ma di saggezza proverbiale, diffusa in tutti i paesi civili: “Meglio poco che niente”, la cui sintesi latina è “Melius putatur aliquam partem, quam nullam attimgere”, ossia “Meglio considerare una certa parte piuttosto che non attingere a nulla”.
Tra i proverbi di sicura paternità ricordo: “Raglio d’asino non arrivò mai in cielo”; motto che deriva da Plauto: “Caelos non penetrat oratio, quam canis orat” che letteralmente significa “La preghiera non entra nei cieli se il cane prega”. Altro detto ci viene dalla famosa filippica di Cicerone: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”; nell’antichità greca Sofocle aveva espresso lo stesso concetto, oggi divenuto comune a tutto il mondo con la frase “Il peccare è da uomini, l’ostinarsi è da bestie”. Se ne potrebbero citare molti altri poiché di raccolte paremiologiche non v’è penuria in nessuna letteratura, mentre sono molto poche in quelle poliglotte comparate; «ed anche in queste ultime – riferisce Arthbaer – sono riportati i proverbi di altre lingue».
Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)