Trapianti e donazioni in Sardegna: prof. Carcassi, responsabile del Centro regionale trapianti, commenta i dati del 2012
Da più di un mese sul Sistema informativo trapianti sono disponibili i dati nazionali definitivi su trapianti, donazioni e liste di attesa relativi al 2012. E con ancor maggiore tempestività, i dati locali sono stati resi noti dal Centro regionale trapianti (CRT) della Sardegna.
Come vedremo tra poco, lo scorso anno l’Isola – come vi avevamo anticipato e come, del resto, si paventava già a metà anno – non ha confermato i risultati positivi del 2011. Abbiamo, pertanto, chiesto un incontro al responsabile del CRT, il prof. Carlo Carcassi (nella foto), per analizzare le possibili cause di questa flessione e individuare eventuali soluzioni da adottare per migliorare gli standard regionali.
Partiamo dalle liste di attesa: al 23 marzo 2013 in Italia sono state censite 9.076 persone in attesa di trapianto (erano 8.783 al 31 dicembre 2011). Una cifra elevata che, precisa il Professore, risente dei dati di quelle regioni, quali la Campania, in cui il sistema sanitario è meno efficiente e le donazioni sono poche (le opposizioni in questa Regione nel 2012 sono state il 41,4 %). I dati sardi relativi alle liste di attesa, invece, sono buoni e si mantengono su valori costanti ogni anno:
– il numero medio di pazienti in attesa di trapianto di cuore oscilla tra i 5 e i 10 e questo in quanto – spiega il responsabile del CRT – la terapia farmacologica per le cardiopatie è notevolmente migliorata, per cui i casi in cui si rende necessario un trapianto sono diminuiti;
– all’incirca 10 sono i pazienti in lista per il trapianto di fegato;
– oscillano intorno ai 100 coloro che attendono un nuovo rene ma, precisa prof. Carcassi, bisogna considerare che, comunque, ogni anno il numero di paziente che entrano in lista coincide all’incirca con quello dei trapianti effettuati;
– tra i 6 e gli 8, invece, il numero di persone che attendono di subire il trapianto combinato rene-pancreas. Peraltro, la Sardegna nel 2012, con i suoi 8 trapianti combinati eseguiti, è stata tra le regioni italiane più attive (indietro solo rispetto a Veneto e Toscana, che hanno toccato quota 10).
Quando, in Italia, si pensa alle liste di attesa, aggiungervi l’aggettivo “lunghe” viene quasi automatico, per cui sentire parlare il responsabile del CRT di “liste di attesa corte” è una vera sorpresa. Dal punto di vista del paziente e della sanità nazionale esse costituiscono un fatto positivo perché garantiscono una maggiore probabilità di salvare queste vite in bilico, tuttavia – spiega il Professore – per la Regione tale dato ha un risvolto negativo in quanto comporta che, spesso, gli organi prelevati sul territorio lì non siano utili e debbano essere trasportati altrove. Esiste, infatti, una rete nazionale per i trapianti di urgenza che garantisce che, nel caso in cui un paziente abbia la necessità immediata di un nuovo organo, il primo disponibile in Italia gli venga riservato, a prescindere dal luogo in cui è stato prelevato. Questo sistema (al quale abbiamo già fatto cenno nell’articolo In visita con la Prometeo Aitf Onlus al Liceo “Michelangelo“ di Cagliari) – precisa prof. Carcassi – esiste da circa vent’anni e da allora fino ad oggi ha consentito di salvare tante vite: in precedenza, infatti, a meno che tra le regioni interessate non fosse stato stipulato un accordo per il trasporto degli organi, in mancanza di donatori locali il paziente moriva.
A proposito di viaggi di organi e pazienti, Pino Argiolas, presente all’incontro nelle vesti di presidente della Prometeo Aitf onlus, chiede al responsabile del CRT se è vero, come ha letto, che alcune regioni stanno limitando l’accoglienza di trapiantandi provenienti da altri territori. Prof. Carcassi spiega che è vero, ma che ciò dipende da limiti imposti dalla normativa nazionale. In particolare, quest’ultima prevede che il numero di pazienti in lista di attesa non possa superare il doppio dei trapianti effettuati nell’anno precedente. Per non rischiare di sforare queste soglie, pertanto, alcune regioni, quali l’Emilia Romagna, molto “appetibili” in quanto centri di eccellenza, hanno dovuto limitare l’inserimento di pazienti provenienti da altre zone d’Italia, quali la Campania, in cui la qualità garantita per questo tipo di intervento è inferiore. Scanso equivoci, il responsabile del CRT tiene a precisare che in Italia – e quindi anche in Sardegna – vengono normalmente trapiantati, nel pieno rispetto della Costituzione, anche extracomunitari, pure se irregolari.
Le liste di attesa, dunque, non preoccupano, mentre meno rincuoranti, se confrontate con i dati del 2011, sono le cifre relative alle opposizioni alla donazione e ai trapianti effettuati (qui i dati completi della Sardegna). Per quanto riguarda le prime, la Sardegna ha registrato un buon risultato, se confrontato con la media nazionale (20,4% nell’Isola contro il 29,2% nazionale), confermandosi una delle regioni più “generose”. Meglio di lei solo l’Umbria con lo 0%, il Molise con il 16,7% e la provincia autonoma di Trento con l’8,3 %, che peraltro hanno abbattuto di molto le opposizioni: nel 2011, infatti, avevano registrato il 33,3% il Molise, mentre le altre due il 20%. Inversa, invece, la tendenza nell’Isola dove le opposizioni sono risalite di circa un punto percentuale: al 2011 erano, infatti, il 19,5%. Un incremento che, però, rispecchia l’andamento a livello nazionale: le opposizioni nel 2012 hanno toccato quota 29, 2%, contro il 28,3 % dell’anno precedente.
Tendenza negativa, di conseguenza, anche per i trapianti effettuati. In Italia lo scorso anno ne sono stati realizzati 2899 a fronte dei 2943 del 2011. In Sardegna la cifra si è ridotta del 22,4% rispetto all’anno precedente (76 interventi nel 2012 contro i 98 del 2011) e – eccetto che per il pancreas, per il quale i trapianti sono esattamente raddoppiati – per gli altri organi si sono registrati dati negativi: – 20% per il cuore, – 27,6% per il rene e, addirittura, -30,8% per il fegato.
In calo nell’Isola anche le segnalazioni di potenziali donatori provenienti dai 14 reparti di Rianimazione censiti per l’attività di donazione di organi: solo 54, ossia quasi il 13% in meno rispetto al 2011. Il dato potrebbe essere, però, positivo: ci sono state meno morti cerebrali?
«No, – risponde Carcassi – per le morti cerebrali la variazione tra la stima attesa e il dato osservato non supera il 15% e oltre una certa soglia, purtroppo, non si scende.»
Allora qual è il problema?
Occorre premettere due cose, spiega: la prima è che il numero di possibili donazioni e trapianti è stabile (in Italia ogni anno si prevedono circa 1.000 donatori e circa 3.000 trapianti, posto che un donatore, in media, è in grado di offrire tre organi); la seconda è che i dati della Sardegna sono buoni, soprattutto se rapportati ad altre regioni del Sud, ma dobbiamo comunque prendere ad esempio le zone più virtuose.
E come raggiungere i loro standard?
«Innanzitutto, bisogna capire dove sono le “falle” del sistema.» E una la individua subito: la rete di emergenza-urgenza, fondamentale per le segnalazioni delle morti cerebrali. È, infatti, questo sistema che ha bisogno di essere migliorato, prosegue. Le fughe si verificano, in particolare, non tanto nel 118 ma in alcuni pronto-soccorso, reparti in cui arrivano quei pazienti che spesso, purtroppo, non ce la fanno e che diventano potenziali donatori. In alcuni ospedali capita, infatti, che il pronto-soccorso trasferisca il paziente in emorragia cerebrale non operabile non nel reparto di Rianimazione, attrezzato per fare le osservazioni in caso di morte cerebrale (ossia il primo passaggio dell’iter che dalla donazione porta al trapianto), ma in altri reparti dove il paziente alla fine muore, senza che la drammaticità di quella perdita possa essere attenuata dall’aver salvato un’altra vita. Questo accade, ad esempio, perché alcuni medici ritengono erroneamente che un paziente in età avanzata non posa donare gli organi: si preoccupano solo della cura del paziente, senza mettere in conto il possibile esito negativo delle terapie. Tuttavia, – avverte il responsabile del CRT – anche una sensibilizzazione e formazione in tal senso del personale sanitario del pronto-soccorso deve essere gestita con accortezza, per evitare che le rianimazioni vengano “intasate”. Il numero assoluto di potenziali donatori è di 75-80 all’anno, ma in media quelli da cui vengono effettivamente prelevati gli organi sono all’incirca 30-35: considerato anche che i posti letto nelle rianimazioni sono limitati, fare un numero eccessivo di osservazioni significherebbe sottrarre spazio al post-operatorio ossia ai pazienti che hanno appena subito un intervento. D’altro canto, è vero anche che alcune rianimazioni sono sovraffollate – e non possono quindi fare le osservazioni – perché ospitano pazienti che non necessitano di essere ricoverati in quel reparto, ma solo di essere ventilati. Pazienti che, infatti, in altre strutture ospedaliere sono ricoverati in altri reparti ad hoc.
In ogni caso, prosegue prof. Carcassi, una delle soluzioni per migliorare i risultati dell’attività dei trapianti è mantenere alti gli standard qualitativi delle migliori rianimazioni della Sardegna: quella del “SS. Annunziata” di Sassari, quella del “G. Brotzu” di Cagliari e quella del “S. Francesco” di Nuoro. Il responsabile del CRT ci tiene a precisare che le altre rianimazioni – quali quella dell’ospedale “N.S. della Mercede” di Lanusei – non sono meno efficienti e valide, ma semplicemente si occupano più di post-operatorio che di traumi gravi, ossia quelli che portano alle morti cerebrali. Inoltre, alcune rianimazioni non ricoverano i gravi neurolesi e li mandano direttamente negli ospedali, quali il “Brotzu”, specializzati in neurochirurgia.
Per il Professore sicuramente si può pensare anche ad un potenziamento delle altre rianimazioni, come chiede da tempo la Prometeo Aitf onlus, ma occorre tenere conto dei limiti oggettivi, innanzitutto del fatto che il numero di posti nei reparti è stabilito dal Ministero della Salute in base alla popolazione residente. E la Sardegna, al momento, è in regola con questi limiti. Questo, peraltro, è uno degli ostacoli alla realizzazione di una Rianimazione dedicata per il Centro trapianti di fegato del “Brotzu” (come, nello stesso ospedale, è già stato fatto per il reparto di Cardiochirurgia), proposta sostenuta anche dalla Prometeo Aitf onlus. La Rianimazione, infatti, ha un ruolo cruciale sia per l’individuazione dei donatori che per la sopravvivenza del paziente (al quale vengono somministrati farmaci immunosoppressori per scongiurare il rigetto del nuovo organo) nella delicata fase che segue l’intervento.
Altri ostacoli al rafforzamento delle rianimazioni sono la scarsità dei fondi disponibili – elemento tristemente ovvio – e le conseguenti pressioni del Ministero della Salute per ridurre il numero dei posti letto e accorpare reparti. Pressioni cui talvolta si risponde – spiega prof. Carcassi – con tagli scriteriati e trasversali, che magari comportano una riduzione pure del personale della Rianimazione, con danni collaterali enormi per il livello delle prestazioni erogate.
«Va anche detto, però, che il numero di ospedali in Sardegna è molto elevato, il che, ai fini dell’efficienza sanitaria, è un grave danno in quanto comporta costi enormi.» E il responsabile del CRT cita un esempio eloquente: in Aragona, il cui territorio ha una dimensione simile a quella della Sardegna, esistono solo 3 grandi ospedali, mentre nell’Isola questa cifra è superata nella sola Cagliari. «Affrontare questo discorso, però, – prosegue – è difficile, come abbiamo visto anche di recente. Aprire un ospedale costa un sacco di soldi, ma chiuderlo è quasi impossibile perché ti scontri con resistenze enormi. Ci sono dei grossi ostacoli politici.» Forse è anche una questione di campanilismo, verrebbe da pensare, vista l’indole dei sardi. E la scarsa rete dei trasporti non è un altro ostacolo? Per il Professore no, perché – laddove la rete viaria non è efficiente – esiste la possibilità di ricorrere all’elicottero.
E prosegue col delineare gli obiettivi che la sanità regionale dovrebbe porsi: occorre puntare a raggiungere la quota dei 100 trapianti l’anno (sfiorata nel 2006, 2007 e, da ultimo, nel 2011) e a mantenere costante questo livello. In particolare, sarebbe necessario aumentare il numero di trapianti di rene, per i quali la lista di attesa è relativamente più lunga. Anche perché – spiega – questi interventi consentirebbero di risparmiare all’incirca 2 milioni di euro (l’equivalente del costo della dialisi per i nefropatici che, grazie all’intervento, sarebbero liberati da questa “schiavitù”). In realtà, – precisa prof. Carcassi – questo risparmio è da intendersi “lordo” poiché vi andrebbero sottratte le risorse finanziarie necessarie per erogare i sussidi che la Legge regionale 8 maggio 1985, n. 11 riconosce ai trapiantati di rene. In ogni caso, il risparmio “netto” sarebbe notevole.
E come si potrebbero incentivare i trapianti di rene? Non con le campagne di sensibilizzazione volte a incentivare le donazioni da vivente, si affretta a rispondere. Perché? Perché i medici che seguono i nefropatici illustrano sempre al paziente tutte le possibili soluzioni, compreso, appunto, il trapianto da donatore vivente consanguineo (coniuge, genitore, figlio), per cui le famiglie interessate sono già sensibilizzate.
Nel 2012 in Sardegna sono stati effettuati solo 4 trapianti di rene da vivente, un dato in linea con la media nazionale (i casi limite sono Pavia con 1 intervento e Pisa con 29). Cifre basse in tutto lo Stivale (che complessivamente ne conta 186) perché – spiega il responsabile del CRT – il trapianto da vivente pone un problema etico, in quanto si deve comunque sottoporre ad un intervento chirurgico una persona sana. Per questa ragione, prosegue, si effettua solo se c’è la garanzia che il trapiantato possa sopravvivere almeno 15 anni. Di norma, quindi, si dà preferenza al trapianto da donatore morto. Il dato più alto di donazioni da vivente – aggiunge – si registra nelle zone in cui sono molto scarse le donazioni a seguito di morte cerebrale, ma – avverte – maggiore è questo tipo di trapianto, maggiori sono i rischi di insuccesso. Per cui – conclude – è preferibile incentivare le donazioni post-mortem.
Il lavoro fin qui svolto è comunque apprezzabile, spiega: lo dimostrano i numeri comunque elevati dei trapianti eseguiti e la percentuale contenuta di opposizioni alla donazione. «Questo perché la coscienza sociale è diffusa» e lo è anche perché in tante famiglie, ormai, c’è una persona trapiantata, come emerge anche agli incontri di sensibilizzazione con gli studenti o gli adulti cui il responsabile del CRT partecipa. Inoltre «c’è tendenzialmente fiducia nel sistema sanitario». Spiega, infatti, che se un per un paziente viene dichiarata la morte cerebrale e il familiare non ha fiducia nelle capacità dei medici che lo hanno assistito, difficilmente acconsentirà al prelievo degli organi perché avrà la convinzione che non sia stato fatto tutto il possibile per salvarlo. Non a caso, il tasso di opposizioni alla donazione è molto elevato in quelle regioni in cui la sanità pubblica è meno efficiente (i tassi più alti nel 2012 sono stati registrati in Sicilia e in Puglia, che hanno rispettivamente raggiunto il 48,6% e il 43,6%).
Non solo: «conta molto anche l’approccio dei rianimatori nel comunicare ai congiunti la morte del paziente (non dimentichiamo che l’emorragia cerebrale – caso tipo – è un fatto improvviso) e nel richiedere loro il consenso al prelievo degli organi».
Per quanto riguarda l’attività di sensibilizzazione, il responsabile del CRT ritiene che il ruolo delle associazioni sia imprescindibile, in quanto solo loro sono in grado di svolgere un’attività capillare che, grazie ai contatti diretti con adulti e soprattutto ragazzi, possa raggiungere tutte le famiglie.
Pino Argiolas, dal canto suo, aggiunge che l’attività di sensibilizzazione ha più forza se portata avanti con la collaborazione del personale sanitario. Non a caso, quest’ultimo è sempre presente alle manifestazioni organizzate dall’associazione da lui presieduta. Anche prof. Carcassi, vi abbiamo accennato poco sopra, vi partecipa, Da ultimo, ha presenziato all’incontro di venerdì scorso con gli studenti dell’Istituto tecnico commerciale “G. M. Angioy“ di Carbonia.
Se, infatti, non gli mancano le competenze e la capacità comunicativa, di certo non pecca per mancanza di umanità, anzi. Lo dimostra il fatto che non ami usare l’espressione “donatore cadavere”, che ci tenga a ribadire che la morte di un paziente è sempre un dramma e che nessun medico (né alcun trapiantato) si augura che una persona ricoverata in fin di vita in una Rianimazione muoia per poterne prelevare gli organi. Così come tiene moltissimo a ricordare che nel processo che si conclude con il trapianto «protagonisti sono il donatore e la sua famiglia».