Perché leggere “L’ultima riga delle favole” di Massimo Gramellini
di Marcella Onnis
Penso che siano in pochi a non ritenere L’ultima riga delle favole un bel titolo. Ma già su questo punto è possibile distinguere tra consenso e consenso: leggendo per la prima volta questo titolo alcuni iniziano già a sognare, immaginando trame intrise di sentimento e pagine pulsanti d’amore; altri, invece, vuoi perché poco o per nulla romantici vuoi perché “romantici pentiti”, sentono suonare un campanello d’allarme. Perché le favole sono sogno, fantasia (tanta fantasia!) e sentimento: una miscela che per molti adulti risulta stucchevole e quindi fastidiosa quanto la granella di zucchero quando si attacca ai denti.
Il campanello d’allarme, per me, da brusio in sottofondo al momento dell’impatto con il titolo è diventato rumore assordante mentre leggevo la trama sul risvolto di copertina. E se non fosse stato per le mie “assaggiatrici di libri” forse non ne avrei proprio cominciato la lettura. Fidandomi dunque di loro, ho vinto l’iniziale ritrosia e ho provato a metter da parte i pregiudizi, senza però dimenticare la loro avvertenza per l’uso: “Se riesci a superare le prime 30 (ma io direi anche 40) pagine, arriverai alla parte buona del libro”.
La parte che, per questioni estremamente soggettive, posso confermare di aver trovato “sgradevole”, dall’inizio alla fine, è la trama: troppo surreale, troppo fantastica per un romanzo che non sia un fantasy e sì, per me pure troppo romantica. Una trama per cui il bello stile di Massimo Gramellini, che mescola poesia e ironia, risulta – sempre a mio personale e discutibile parere – davvero sprecato. Frasi come «All’uscita ho strisciato lungo i muri per scansare i pensieri della gente» avrebbero meritato ben altri contesti.
Sicuramente saranno in molti a dissentire su questo giudizio, ma ogni palato ha le sue preferenze, ogni apparato digerente le sue intolleranze e, personalmente, trovo più digeribile il mix self-help e romanticismo quando è mescolato con l’umorismo, magari anche un po’ demenziale. Quando, cioè, è servito in tavola – per restare dentro la metafora – con quella “leggerezza intelligente” di cui è, ad esempio, capace la migliore Federica Bosco.
Se è la cornice la parte che non entusiasma né me né altri, è facile intuire quale sia, invece, la parte oggettivamente buona, per cui val comunque la pena leggere questo romanzo: il suo contenuto, ricco e profondo. Del resto, stiamo parlando di favole e nessuna favola può essere priva di una morale. Trattandosi di un libro per adulti – quindi di un universo variegato di lettori – non c’è, però, un solo insegnamento: c’è al contrario una varietà di “messaggi” che mette ognuno di noi in condizione di trovare la strada giusta per sè, qualunque siano il punto di partenza e la meta.
In realtà, queste pagine contengono ben poche “rivelazioni”: più che altro vi troviamo – quasi sempre espresse in bella forma – verità che già conoscevamo ma che abbiamo scordato o che la paura, l’egoismo, il cinismo, il dolore, la delusione o altri sentimenti “negativi” avevano relegato nella soffitta della nostra coscienza.
E saranno in tanti a sentirsi rincuorati nel leggere riguardo al talento che: «Tutte le anime ne posseggono uno e vengono al mondo per farlo fruttare». O a trovare l’illuminazione in queste righe: «Ciascuno ha la sua [missione della vita] e l’errore consiste nel credere che una sia più importante dell’altra, solo perché non tutte procurano fama e denaro» Consigli e rassicurazioni che, peraltro, con forme altrettanto belle, si ritrovano anche in un altro libro capace di evocare sentimenti contrastanti: Lughe de chelu e jenna de bentu di Giovanna Mulas.
Chi è in cerca dell’anima gemella e magari ha finora collezionato solo amori infelici troverà in questo libro un sentiero nitido, tracciato pagina dopo pagina. Ma c’è una regola, in particolare, che mai dovrebbe dimenticare e sulla quale – non a caso – c’è larga condivisione nel mondo dei saggi: «[…] liberati dalla zavorra dei sensi di colpa e sostituiscili con il senso di responsabilità. Così incomincerai a volerti bene per quello che sei, ma proverai anche il desiderio di cambiare. Amare il prossimo sarà una conseguenza.»
Tutti, invece, dovremmo fermarci a riflettere su queste due significative affermazioni:
«La verità va spogliata un poco alla volta, dal momento che l’uomo ha la pessima abitudine di sporcare ciò che stenta a capire.»
«Il sesso e i soldi sono le scarpe che usiamo per camminare sulla vita … L’inganno sta nell’aver trasformato un paio di scarpe nella ragione del viaggio.»
C’è, però, una frase che, più di tutte, non bisognerebbe proprio scordare e che in molti avremmo bisogno di ritrovare ogni mattina scritta a caratteri cubitali nello specchio:
«I se sono la patente dei falliti. Nella vita si diventa grandi nonostante.»
Varrebbe la pena “sorbirsi” la favola di Gramellini anche solo per confrontarsi con questa verità.
Gramellini mi sta simpatico soprattutto dopo le sue apparizioni a Che tempo che fa; c’è però un aspetto del suo scrivere che mi lascia perplesso: l’uso eccessivo di una figura retorica che credo si chiami iperbole, ogni frase sembra scritta come per dire ‘da annotare nel novero delle frasi celebri’ , ma forse mi sbaglio.
Non so se sono riuscito a spiegarmi
Sì, ho capito cosa intendi. Ti dirò, ho notato altri difetti in questo libro ma questo no… però forse è perché quando uno scrive bene, gli perdono facilmente eventuali sfoggi di bravura!
complimenti per l’articolo