UN CAMMINO SENZA LUCI E LIMITI IN PIENA AUTONOMIA

Senza “rinnegare” le ricche esperienze del passato, la scelta di tornare ad agire individualmente fa parte di un anticonformismo che mi è congeniale

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)

Dopo molte esperienze in ambito associativo non profit, durate diversi anni, si possono fare alcune considerazioni utili a comprendere quanto sia importante la libertà per un “nuovo Umanesimo”, pur nel rispetto del comune ideale sociale. In questi decenni ho accumulato soddisfazioni come la ricchezza del sapere, e di quante potenzialità sono andate sprecate sia da parte mia che di altri all’interno delle diverse realtà associative non profit; ma quando il clima del disappunto tendeva ad avere il sopravvento, era evidente che bisognava uscire da tali realtà, ancor più di fronte alla negazione della mia dignità, al di là del rispetto o meno dello Statuto di dette associazioni. E quando si tratta di identificare il volontario con una delle funzioni che svolge, e non in quanto Persona, significa semplicemente concepirla come potenzialmente utile al fine, dimenticando però l’essenza della sua personalità e ciò al di là di ogni considerazione di plauso. Con questa considerazione intendo rammentare a quanti ho incontrato nell’ambito del volontariato associativo che il loro modus operandi il più delle volte era assai discutibile, a cominciare dalla non coerenza e dalla scarsa etica. Da queste prime note si delinea quell’atavico mio anticonformismo, che so a priori non essere condiviso, ma ciò non toglie il mio diritto di dissentire da ogni impostazione dalla apparente unanimità, ma non priva di incoerenza e ipocrisia che nel tempo ha creato fraintendimenti e dissapori… In realtà non ho mai cercato “alleanze”, anche se c’è stata qualche eccezione nell’aver conosciuto e affiancato alcuni operatori votati al bene sociale; ma come in molti casi gli aspetti negativi del vivere in comunità associativa si imponevano e si impongono su quelli positivi; e va da sé che non sono mancati i “detrattori” (ai quali vorrei ricordare che chi reca un’offesa la scrive nella polvere, chi la riceve la imprime nel marmo: il tempo, si dice, è galantuomo) che hanno messo in discussione la mia dignità, sia pur in presenza di difetti ed errori. Parafrasando Martin Luter King potrei dire che ciò che è dannoso per la collettività non sono le persone che offendono (o dissentono), ma il silenzio di quelle che non hanno il coraggio di esporsi… Ciò è assai sgradevole (per qualunque essere umano) tanto da indurre alla “alienazione” dei concetti di razionalità, saggezza, etica, onestà e quant’altro. La chiarezza, in tutti gli ambiti, è una giusta distribuzione di ombre e luci, e va da sé che sarebbe deleterio coesistere senza di essa, non potendo proseguire in modo sereno e condivisibile nelle finalità dettate da procedure statutarie. Il mio non vuole essere un vero e proprio “J’accuse” di Emile Zola, in quanto non esiste un analogo “Alfred Dreyfus” in versione italiana, ma più semplicemente una attestazione di un malessere vissuto per una serie, appunto, di divergenze tali da invertire la mia scelta nell’operare nell’ambito della solidarietà sociale, ovvero il ritorno alla totale autonomia per meglio affrontare (dal mio punto di vista) i drammi dell’esistenza umana: dal prologo all’epilogo. La nostra cultura sociale italiana, per non dire più sottilmente mediterranea, non ha ancora raggiunto l’apice della comune condivisione sul concetto volontaristico e, più specificamente, sul come essere operativi in modo più razionale e senza… sbavature. In non pochi casi anche nel volontariato in genere, come pure nell’ambito del lavoro, agli uomini e alle donne è assegnato (o si assumono) un ruolo per il quale non sempre hanno la dovuta attitudine, o comunque scarsa, proprio perché il mondo è un palcoscenico sul quale le parti sono spesso assai mal distribuite. A questo riguardo tempo fa su un periodico associativo avevo pubblicato un editoriale con il titolo: “Il volontariato ieri e oggi, un lodevole impegno di aggregazione sociale che ha ragione d’essere, ma che non dovrebbe “sanare” le conseguenze del Welfare State”, con un approfondimento saldo per la nostra volontà di lavoro non profit e progresso (il “vero” volontario è una professione che richiede precise competenze soprattutto in ambito sanitario), fondamento individuale nella interpretazione della nostra vita che ci circonda e nel significato che ad essa attribuiamo. Sarebbe quindi utile rivedere la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei problemi, la capacità di comprendere le implicazioni per la condizione umana; la capacità di valutare con obiettività i limiti dell’agire e le possibilità delle conoscenze nell’ambito della solidarietà, come pure l’elaborazione dei saperi necessari per comprendere l’attuale “status” dell’uomo che lo vede sempre più al centro delle dicotomie comportamentali. Ma alla luce dell’attualità mi rendo conto che ciò non è possibile, se non utopistico. Del resto tutti i nostri proponimenti, anche se a fin di bene, vengono fatti in uno stato d’animo che non è destinato a durare nel tempo. E qui ha termine la mia esperienza  nell’agire in collettività, dalla quale ho comunque imparato (ma forse non abbastanza) che i cambiamenti non avvengono mai senza (talvolta seri) inconvenienti, e che mai procedono bene le cose che dipendono da molti: la gerarchia anche nel volontariato associativo, come nel lavoro, non è mai priva di effetti collaterali, a volte con conseguenze poco piacevoli. L’esperienza sinora acquisita, quindi, mi induce a ri-considerare con concretezza ciò che ritengo essere più saggio, ossia perseguire un agire più “profetico” per tramutarsi nella più semplice, spontanea e diretta solidarietà (senza “interferenze”) nei confronti del singolo offrendo più concretezza e meno dispersione…! Sono perfettamente conscio che andare contro le opinioni “dominanti” di chicchessia è il più difficile atto che si possa compiere, specialmente nell’ambito della solidarietà umana. Tuttavia, mi preme rammentare che esistono tre maniere complementari di percepire le verità nella vita e nel comportamento di tutti noi: la ragione, la rivelazione e il coraggio. E solo sulla carta l’umanità ha ottenuto la gloria, la bellezza, la verità, la sapienza, la virtù e l’amore durevole per il prossimo che ha bisogno: unico vero “protagonista” del fine sociale ed umanitario. Pur sapendo a priori di non essere (almeno in parte) condiviso con quanto esposto, e per tale scelta di agire individualmente, le eventuali critiche lasciano il tempo che trovano, e non giovano ad alcuno, rendendo puerili e spiritualmente sterili chi le propina. Recentemente, congedandomi da una realtà associativa non profit, dove sono stato parte attiva per cinque lustri, affermavo: “Nel corso della nostra esistenza possiamo incontrare ostacoli o presunti tali, che talvolta non si riesce a superare…, e quando giunge il momento di andar via si dice che è saggezza, essere in grado di farlo è coraggio, andare a testa alta è dignità“. Si dica pure delle mie manchevolezze se finalmente non diremo cose che a qualcuno dispiaceranno, non diremo mai la verità. Un’ultima considerazione: proporsi pubblicamente anche in veste di non profit, sia pur con spontaneità e modestia, spesso si è fraintesi e tacciati di presenzialismo, presunzione e immodestia. Anche per questo è meglio agire individualmente… senza interferenze. Del resto è altrettanto appagante camminare senza luci e limiti in piena autonomia!

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