UN SAGGIO A SOSTEGNO DELLA DONAZIONE DEGLI ORGANI

Come da un semplice racconto può nascere il messaggio di continuità alla vita.

di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)

Anche le pubblicazioni cosiddette “minori”, generalmente edite da altrettanti Editori minori, non è detto che abbiano minore importanza. Come pure non è detto che valgano meno dal punto di vista letterario e del messaggio che inviano se scritte da autori poco o nulla noti al pubblico. È il caso di Daniela Bighi, 55enne, torinese, infermiera di lungo corso in Servizio al “118 del Piemonte”, che ha dato alle stampe Lettera di un condannato alla vita (BookSprint Edizioni, 2015, pagg. 82). Una storia romanzata basata su un fatto realmente accaduto, in cui un giovane torinese ha perso la vita a causa di un incidente in sella alla sua Harley Davidson, mentre si recava al compleanno dalla sua fidanzata, per decidere di comunicare a familiari e amici l’intenzione di convolare a nozze. Entrato in coma e ricoverato in rianimazione racconta in prima persona la sua odissea: dalla caduta al trasporto in ambulanza in ospedale; per continuare con il prelievo degli organi, sostenuto dal ”complice” e confortante dialogo con Raphael, l’arcangelo degli infermi, che lo accompagnerà in tutto il viaggio che si conclude con il trapianto dei suoi organi ad una giovane paziente affetta da una gravissima e irreversibile forma di diabete. È un racconto tanto semplice nella stesura quanto coinvolgente, sia perché ci porta a considerare gli eventi tragici che accadono sulla strada, sia nell’immedesimarci in certe situazioni di “non ritorno”, come il fatto di entrare in coma, non farcela e magari lasciare i propri organi a qualcuno che da tempo attende di poter tornare ad una vita normale. Il dialogo che si instaura tra il protagonista e il suo arcangelo, come pure con i suoi genitori e la sua fidanzata, è carico di sentimento, emozione e incoraggiamento per loro, in cui il pathos è il filo conduttore  di tutta la vicenda. Insomma, un vero e proprio saggio dalla vena altruistica che l’autrice ha voluto dedicare a tutti gli angeli che ha incontrato nel corso della sua attività professionale, ma anche a tutti i lettori affinché superino quella barriera di ostentazione nel dare il consenso alla donazione degli organi di un proprio congiunto, o che gli interessati non si siano espressi in merito come lascito testamentario. La stesura del racconto, che nulla ha di “imposizione” ad alcuno, a mio giudizio si pone anche come riflessione filosofica della vita che, in base all’esperienza della scrittrice, implica anche il valore dell’etica professionale, soprattutto proprio chi, come lei, ha più volte visto vita e morte umana in simbiosi, per tradursi il più delle volte nell’importanza di far prevalere l’una sull’altra, ossia per continuità della stessa.

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