UNA CRESCITA SOCIO-CULTURALE E PROFESSIONALE
Affinché nessuno pecchi di presunzione o megalomania, è bene ricordare chi ci ha fatto crescere sino ad avere un ruolo in gran parte utile a noi stessi e alla società.
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e critico d’arte)
Non è mai troppo tardi per rinfrescare la propria memoria e ripercorrere le tappe più significative del nostro percorso di vita, in particolare per quello che riguarda la nostra crescita personale. È una questione di dovere e di onestà intellettuale perché per quanto riguarda la nostra crescita, nessuno può affermare di essersi “fatto da sé” in quanto io credo che ciascuno ha avuto il proprio maestro, ossia una sorta di pigmalione sia in ambito accademico che non, dal quale aver attinto insegnamenti utili e magari anche decisivi per intraprendere questa o quella professione o attività sociale.
Personalmente ricordo con stima e gratitudine il Dr Vittorio Bottino (1919-2003 – nella foto), piemontese, giornalista e critico d’arte esperto della Pittura dell’Ottocento e del Novecento piemontese. Uomo semplice, pragmatico, generoso e di larghe vedute tanto che, avendolo conosciuto a metà degli anni ’80 per intraprendere la professione del giornalismo, mi offrì subito l’opportunità chiedendomi un primo articolo. Ricordo che gli proposi una breve storia del castello di Vinovo (To) dei Conti della Rovere, un semplice contributo ma che rappresentò l’inizio di una collaborazione durata circa sette anni. Nel primo biennio (cui seguì la mia iscrizione all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti del Piemonte: 8 aprile 1987) mi insegnò i “rudimenti” della critica d’arte, invitandomi a visitare settimanalmente le gallerie d’arte di Torino e provincia per redigere la recensione delle personali e delle collettive, sia di pittura che di scultura; oltre naturalmente, recensire libri e conferenze in ambito letterario. In quel periodo ebbi la “fortunata” occasione, per suo incarico, di visitare anche le principali e più importanti botteghe di restauro in Torino, dandone risalto con la relativa descrizione dopo aver respirato la cosiddetta “aria di laboratorio”. Un’esperienza alla quale tenni “a battesimo” la nascita della Associazione Piemontese Restauratori d’Arte (A.P.R.A.), divenendone per un ventennio presidente onorario. A quel tempo il dr Bottino era responsabile dello storico Corriere di Torino e della Provincia, settimanale per il quale scrissi molti articoli portandomi a quella iniziale formazione sul campo della cosiddetta, appunto, “critica d’arte”. Nel contempo mi occupavo anche di problemi sociali, e in particolare di quelli relativi al “pianeta handicap”, aspetto questo che seguo tuttora con ricerche, approfondimenti, conferenze ed articoli per mettere in evidenza le relative problematiche, sia di carattere politico che medico-scientifico. Un mondo assai vasto dal quale ho appreso (e non è finita) quanto c’era da fare con qualche piccolo progresso, ma che ancora c’è molto da fare in quanto l’handicap può essere superato se la società attraverso l’apporto delle tecnologie e dell’organizzazione sociale riesce ad integrare la persona con disabilità nel normale circuito sociale, facendo leva sulle potenzialità e le capacità della stessa. E poiché la qualità della vita passa anche attraverso la qualità del diritto (ove è prevista giustizia equa per tutta la comunità, il diritto stabilisce garanzie per ciascun cittadino), a maggior ragione chi soffre il disagio dell’handicap necessita di una particolare tutela che ne impedisce l’emarginazione, garantita dalla certezza di regole che stabiliscono il principio di parità sociale.
Considerazioni, per la verità assai sintetiche, ma dalle quali ho potuto approfondirne la filosofia dall’amico e giornalista (Maurizio Spatola (1946-2022) che, essendo entrato nel mio spirito altruistico, mi seguì per tempo dedicandomi qualche articolo per dare voce alle mie iniziative sociali, come un programma radiofonico (che andava in onda settimanalmente, negli anni’ 80) sull’emittente locale “Radio ABC”, dedicato a commenti ed interviste in diretta a politici ed operatori sul problema degli handicappati… come si preferiva allora questo termine anziché quello di disabili. Fu così che un bel giorno sul quotidiano torinese Stampa Sera mi dedicò un articolo che intitolò Un “difensore civico” per chi soffre; una sintesi ma esaustiva del mio impegno con il proposito di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa tematica e, nello stesso tempo, per avere una maggiore coscienza sulla importanza del volontariato. Contestualmente a ciò, la tematica handicap mi avvicinò “inevitabilmente” all’ambiente medico e/o scientifico, una realtà di vastissimo respiro sia per molte discipline che per la moltitudine di protagonisti che ebbi modo di conoscere e frequentare nel corso di convegni e anche durante la loro attività clinica. Ovviamente sin dall’inizio ero a digiuno delle infinite terminologie e “dinamiche espositive”, e il caso volle che agli inizi degli anni ’90 ebbi occasione di conoscere il giornalista medico-scientifico Dr Nicola Ferraro, dal quale appresi i primi “rudimenti” per la stesura di un articolo specifico, di come seguire i convegni medico scientifici e di come impostare una intervista… anche a noti accademici, italiani e stranieri; tra questi, per citarne alcuni, il Nobel per a Medicina Rita Levi-Montalcini (1909-2012), il cardiochirurgo Christian Barnard (1922-2001), l’oculista Josè Ignacio Barraquer (1916-1998), il trapiantologo epatico Thomas Earl Starzl (1926-2017).
Sempre in questo ambito ebbi modo di conoscere il Prof. Michele Olivetti, medico insigne (1932-2013) e per due mandati presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino e Provincia, con il quale collaborai per diverso tempo scrivendo sul periodico dell’Ordine Torino Medica. Sia dal collega Ferraro che dal prof. Olivetti, ho potuto incrementare (ma ancora in itinere) la mia formazione di giornalista medico-scientifico, come pure quella di critico d’arte. Senza dimenticare l’ottico torinese Alfredo Fiorentino, persona sensibile e di buona cultura filosofica, il quale mi spronò (in tempi non sospetti) ad intraprendere l’attività giornalistica. Ma desidero, infine, ricordare chi mi ha dato la possibilità di approfondire il concetto di volontariato: nell’ambito della tematiche mediche e/o sanitarie, ossia l’amico Cav. Piero Pesare, con il quale ho collaborato per oltre vent’anni anni nel contesto dell’AIDO (Associazione Italiana Donatori Organi), dal quale ho appreso spunti importanti sul concetto della donazione a scopo di trapianto terapeutico, sia dal punto di vista culturale che da quello della solidarietà. Ma anche dalla Signora Lucia Sartoris, torinese, una veterana del volontariato nell’ambito delle carceri, della quale, proprio per questo delicato settore, sono diventato “allievo” esercitando volontariato come collaboratore letterario e critico d’arte dell’Associazione di ascolto “La Brezza” (odv) di cui è stata presidente per circa un ventennio. Un percorso, il mio, ricco di soddisfazioni ma anche di grandi insegnamenti che mi portano a ricordare la popolarissima frase di Antonio De Curtis: «Nessuno nasce imparato». Indubbiamente non sono mai stato esente da errori, soprattutto in buona fede e, anche se questi non hanno vanificato la mia crescita, non posso che far tesoro di quanto sosteneva Julius August Walter von Goethe (1749-1832), il quale sosteneva: «Un grande errore è quello di credersi più di che si è e stimarsi meno di ciò che si vale».