Un’analisi spontanea sulla fenomenologia sociale
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico – opinionista)
Sembrano proprio non aver fine: criminalità, nefandezze umane, reati e malcostumi di ogni sorta, più o meno gravi, che nel nostro Paese si vanno sommando al ritmo di decine al giorno, tant’é che nelle carceri il flusso (non dei dipendenti) è continuo. Come pure si sommano, di conseguenza, gli arretrati dei processi civili e penali. E molte sono le richieste di consulenze di “esperti” a vario titolo, oltre ad opinionisti, per esprimere pareri sul o sui perché di tale fenomeno ormai endemico; come pure sui programmi televisivi “ad hoc”: talk show e tribune per confronti in materia. Ma tutto questo quanto è utile? A cosa si vuole approdare? Tentativi (talvolta anche presuntuosi) di una qualche soluzione per arginare il malcostume? Eppure pare che non manchino gli esperti nelle diverse discipline avendo studiato metodi per meglio “inquadrare” la psiche umana. Ma in realtà chi è deputato a stabilire che tizio è propenso a delinquere e caio invece è persona integerrima? Gli sforzi dei preposti potrebbero anche essere “sovrumani”, ma di fatto nessuno sinora ha potuto proporre soluzioni concrete per limitare quanto più possibile le azioni criminose o comunque lesive tra esseri umani. Si dice, cristianamente parlando, che dalla genesi l’uomo è peccatore e quindi soggetto a sbagliare e, se sano di mente, con facoltà di redimersi proponendosi di non diventare recidivo. Ma è proprio così? Io credo, nella mia pochezza intuitiva e nella ancora maggior pochezza di razionale giudizio, che non basta rifarsi alla genesi del genere umano e sarebbe ipotizzabile non solo approfondire studi sul comportamento, ma parimenti cercare di individuare quanto il progresso (in senso lato) abbia potuto e possa contribuire, senza tralasciare tutto quanto è inerente la messaggistica ad effetto mediatico: dalla mera pubblicità di ogni prodotto ai generi di pellicole dalla trama violenta ad effetto imitativo, come dire allo spettatore-consumatore: «Non sentirti inferiore, vedi come si fa ad imporsi nel mondo per non subire…». È evidente che questa sorta di “analisi” sociologica ha dei degni precursori: studiosi ed eminenti cattedratici come sociologi, antropologi, filosofi e teologi oltre ad esperti di diritto; ma a mio modesto avviso ritengo che fin quando il benessere materiale e la eccessiva ed incontrollata libertà prevarranno su una minoranza, la collettività nel suo insieme andrà incontro ad un precipitoso decadimento, ovvero nel nulla, rendendo vani gli esempi dei saggi che appartengono ormai solo ad un lontano ricordo, e la cui esistenza è servita più a loro che alle successive generazioni, compresa la nostra attuale!
Anni fa (dal 1959 al 1968) ebbe notevole successo il programma televisivo “Non è mai troppo tardi”, condotto dal pedagogista e scrittore Alberto Manzi (Roma 1924 – Pitigliano 1997) che, proprio attraverso la televisione, ha insegnato a leggere e scrivere ad oltre un milione di italiani; un vero e proprio contributo all’insegna della “doverosa” solidarietà, nel rispetto dei diritti e della dignità umana. Fu una parentesi del secondo dopoguerra in cui parte di quella popolazione non si è sentita discriminata, ma appartenente allo stesso tessuto sociale ancora non “contaminato dalla irruente, irriverente e spesso lesiva pubblicità come quella attuale, ed altro ancora. Di conseguenza, ricordo, in molte circostanze vi era una sorta di “mal comune”, ovvero tutti coinvolti nella sia pur lenta ricostruzione di un Paese devastato dal conflitto, ma non nella dignità e, per questo, lontano dalla perdita di quei valori umani ed esistenziali responsabile, almeno in parte, di quella che miseramente si potrebbe definire: una società alla deriva con scarsissime possibilità di ripresa etico-morale.