UOMINI DI VALORE CHE NON VANNO DIMENTICATI… PROPRIO PERCHE’ DI VALORE!

Alcuni di essi, come i dott. A. Schweitzer e W. Munz, ricordati dal chirurgo filantropo J.P. Willem.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e biografo)

La figura e l’opera di grandi Uomini non si spengono mai, come è giusto che sia. Ma è un po’ di tempo che non si menziona uno dei più grandi filantropi del ‘900, come l’alsaziano Albert Schweitzer (1875-1965), filosofo, teologo, organista e medico filantropo in Gabon dove dedicò la sua intera esistenza (coadiuvato dalla moglie Hèléne Bresslau: 1879-1957) per curare nel fisico e nello spirito la popolazione locale. A ricordarlo ci ha pensato recentemente attraverso le pagine online di Toscana Today il 7 marzo scorso, il chirurgo francese Jean-Pierre Willem (1938, nella foto), fondatore di Medicins Aux Pieds Nus (1987), attivo in numerose missioni umanitarie per aiutare le vittime di catastrofi e conflitti. Nella sua lunga lettera rivolta a lettrici e lettori, questo medico rievoca le ultime fasi della vita del dott. Schweitzer, esprimendosi con particolare immedesimazione ed affetto, avendo con lui collaborato per un breve periodo unitamente al chirurgo svizzero Walter Munz (1933-2021) primo successore di Schweitzer nella conduzione dell’ospedale di Lambaréné. Il medico francese, con dovizia di particolari richiama alla memoria l’ambiente della foresta equatoriale, come pure l’atmosfera del clima e delle persone residenti; ma anche l’attività intensa in quell’ospedale dei lebbrosi dove tutto era sofferenza ma al tempo stesso serenità. L’autore della lunga epistola si sofferma in particolare sui momenti più intensi della vita dell’ormai stanco “Oganga bianco”, affetto da dolori articolari e spossatezza in quanto giunto alla soglia dei 90 anni; ne descrive anche l’angoscia per il fatto che l’ospedale è in continuo sovraffollamento e forse, proprio per questo, la compensazione è data dalle richieste di medici e infermieri provenienti da tutto il mondo. Il vecchio alsaziano non ha più la capacità di azionare i tasti dell’organo che, per molto tempo, ci hanno fatto conoscere il suo virtuosismo eseguendo numerosi brani di musica classica, con particolare dedizione alla interpretazione delle opere di J.S. Bach, che lui definì le “Musician Poet”.

Ma l’attenzione di Willem cade anche su alcuni aspetti etici che hanno caratterizzato la persona di Schweitzer (nella foto con la figlia Rhena), sottolineandone la “voce autorevole”, come pure le immancabili critiche e le calunnie che però non hanno intaccato la sua notorietà e la sua determinazione, tanto che nel 1953 ad Oslo gli fu assegnato il Premio Nobel per la Pace; un riconoscimento non solo per la sua opera in Gabon ma anche per la sua posizione contro i test nucleari e la sua azione per il disarmo. A questo riguardo il dott. Willem rammenta la preoccupazione di Schweitzer, citandone un passo: «Sono sconvolto dai commenti fatti sul mio amico Albert Einstein (1879-1955). Non si è mai ripreso dai commenti che sono stati fatti sul suo lavoro. Le armi nucleari rischiano di annientare il pianeta. Albert Einstein ha cercato di allertare il mondo, ma il mondo non lo ha ascoltato e ci ha lasciato senza rendersi conto della sua piena missione di pace». La missiva di Willem prosegue con la descrizione fisica di Schweitzer, ormai totalmente allo stremo delle forze, ma ancora lucido tanto da lanciare “ancora” alcuni appelli sulla pace, sul rispetto della vita e invito alla ragione; un contributo all’umanità attraverso quell’esile voce tipica di chi sta volgendo al termine, una fine programmata chiamata “sindrome da scivolamento”. Il dott. Willem vorrebbe restare accanto al vecchio alsaziano, ma con grande rammarico si deve congedare dopo aver vissuto un’esperienza unica, dovendo tornare in patria per concludere i suoi studi, svolgere altra attività medica, e far fronte ad incombenze personali.

Infatti, ha lasciato Lambaréné nel novembre 1964 congedandosi (non senza emozione) dal dott. Schweitzer e dal dott. Munz (nella foto), con l’impegno di far conoscere ai giovani la vita prodigiosa di questo avventuriero dal pensiero moderno. Come tutti i biografi sanno il dott. Schweitzer si è spento alle 17.30 del 4 settembre 1965, alla presenza dell’intero team che nelle precedenti 48 ore si è alternato al suo capezzale. Poi, nel silenzio della foresta equatoriale, apparentemente insopportabile, il raduno della popolazione appartenente alle varie tribù, in fila composta per seguire il feretro. Il dott. Schweitzer ha espresso il desiderio di un funerale discreto e veloce per evitare pubblicità. La campanella, che un tempo annunciava il raduno per le medicazioni, ora suona a morto annunciando al mondo intero la morte del Grand Docteur. È stato sepolto, come ricorda Willem, nel piccolo cimitero di Lambaréné accanto alla moglie Hélène e alla loro fedele collaboratrice Emma Haussknecht. La figlia di Schweitzer Rhena (1919-2009), sposata con il chirurgo statunitense Miller, ha diretto negli ultimi anni il laboratorio analisi e, alla morte del padre, si è trasferita in California dedicandosi all’infanzia. Quindi ben vengano rievocazioni come questa del dott. Willem, che ha avuto l’onore di conoscere uno dei rari capostipiti di carattere umanitario, un rigoroso osservante della formula latina: «Res, non verba» (azioni non parole), concetto ripreso dallo scrittore francese André Malraux (1901-1976): «Le idee non sono fatte per essere pensate, ma vissute», aforismi che all’atto pratico determinano la vita. E anche se Albert Schweitzer non è mai stato beatificato ha certamente meritato quella pace e quel riposo dove le anime dei giusti e dei benefattori godono la beatitudine eterna.

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