Vaccino: a che punto siamo?
Evoluzione di un sistema di gestione dal rallentato processo di risalita. Serve più fiducia nella scienza e nella ricerca clinica ma al tempo stesso è lecito avere qualche perplessità…
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Credo che, per onestà intellettuale, dovremmo tutti ammettere che la gestione di questo interminabile evento pandemico sin dall’inizio ha presentato assurde disomogeneità. E questo, sia per le molteplici autonomie regionali e comunali sia per i diversissimi pareri tecnici e socio-culturali, che si susseguono ogni giorno con la diffusione di statistiche e l’emanazione di procedimenti attuativi sul comportamento da tenere da parte della popolazione. I mass media fanno il loro dovere ma spesso abbondano di dati e notizie tali da “disorientare” l’opinione pubblica, peraltro con effetti deleteri sui soggetti particolarmente emotivi e di scarse (o nulle) nozioni in tema medico-sanitario, ancorché scientifico. L’innovazione dei processi vaccinali è certamente da accogliere con entusiasmo (personalmente sono sempre stato un fautore delle vaccinazioni, come lo sono tuttora) ma, a mio modesto parere, non in modo eccessivo sia perché siamo solo agli inizi dell’innovazione terapeutico-preventiva, sia perché non è ancora il momento di dare certezze che siano totalmente inconfutabili. Anche se i progressi sui vaccini anti- Covid non fanno che alimentare le speranze di una fine della pandemia, a cominciare dal primo vaccino in corso commercialmente noto con il nome di Comirnaty, sviluppato da Pfizer e BioNTech e approvato dall’Unione europea, non si può sottacere che non sono meno coloro che manifestano perplessità perché le prime vaccinazioni non saranno sufficienti a debellarla senza mantenere attive le precauzioni: distanziamento, igienizzazione delle mani e soprattutto l’uso delle mascherine… purché aderenti e sopra il naso. «L’efficacia dei vaccini – ha dichiarato all’Ansa il direttore delle emergenze dell’Oms, Mike Ryan – non dovrebbe essere influenzata dalle varianti del virus (di cui si sta parlando molto, ndr) anche se sono in corso studi di laboratorio in merito. Sappiamo solo che alcune di queste sono, se non più letali, più contagiose, e anche per questo il distanziamento resta un’opzione irrinunciabile». Queste precauzioni, anche se i processi di vaccinazione proseguono, auspicando il “rinforzo” di altri produttori, dovranno accompagnarci ancora per un bel po’ di tempo e, il fatto che sono ancora in aumento i casi di contagi e ricoveri, significa che bisognerà attendere anche gli “effetti” post-vaccinazione perlomeno su una certa quantità di casi. Inoltre, tutti questi provvedimenti stabiliti dal Governo con l’emanazione settimanale di una serie di Dpcm, la relativa applicazione è spesso frammentaria e a volte disattesa tanto che nemmeno le multe ai “trasgressori” servono come deterrente.
Insomma, siamo continuamente divisi in zone colorate ben sapendo che il virus alberga ovunque e in qualunque momento e, a mio modesto parere, non è certo questa interminabile frammentarietà geografica che può ridurre i tempi pandemici… Certo, bisogna prendere atto dei molti pazienti guariti, ma parte di questi potrebbero avere in seguito qualche sequela, proprio perché una delle caratteristiche del coronavirus è quella di intaccare altri organi e con il tempo essere oggetto di ulteriori ricoveri e cure. Lo sforzo dei ricercatori e degli operatori sanitari è certo immane, come lo è altrettanto la messa a disposizione di risorse umane e finanziarie da parte del Governo, ma quest’ultimo aspetto mi porta a pensare che, obiettivamente, non c’è soltanto fretta di sconfiggere la pandemia ma anche di recuperare parte del danno economico che la Nazione ha sinora subìto, in parallelo con la possibilità (almeno parziale) di riattivare la produttività pubblica e soprattutto privata. Per ragioni nostalgiche ma anche di importanza storica, rammento ad esempio l’epidemia della poliomielite che nel secolo scorso fece tante vittime (paralisi e decessi); un riferimento forse non troppo appropriato, ma sicuramente significativo per come si è dimostrata la fiducia nei vaccini Sabin e Salk (nella foto sopra i due scienziati), anche se l’Italia perse molto tempo (4-5 anni) sulla obbligatorietà degli stessi pagando un caro prezzo: circa 10 mila casi di paralisi e quasi mille decessi. Forse questo per diversi aspetti (tecnico-scientifici) è un capitolo diverso della storia delle vaccinazioni, ma a volte la nostalgia è come un sogno premonitore…