Vecchi si diventa: a noi il come. Parola di Massimo Ammaniti
Gli italiani – è risaputo – non hanno un buon rapporto con la prevenzione e io, da buona italiana, non faccio eccezione. “Mi ecceziono” solo per alcune cose che temo, come il tumore al seno (donne in ascolto, in questo seguite il mio esempio, se già non lo fate!). È forse questa la ragione – insieme al desiderio di vedere finalmente con i miei occhi lo splendore del Teatro Bibiena di Mantova – che mi ha spinto a seguire l’incontro della XXI edizione del Festivaletteratura dal titolo “La vecchiaia è uno stato mentale”. A parlare di questo tema è stato lo psicoanalista Massimo Ammaniti, autore de “La curiosità non invecchia, Elogio della quarta età”, affiancato da un impeccabile Paolo Conti.
Confrontarsi con la vecchiaia è necessario non solo perché, almeno potenzialmente, ci attende tutti, ma anche perché – ha segnalato Ammaniti – oltre il 20% della popolazione italiana ha più di 65 anni (nel 2030 si stima che la percentuale salirà addirittura al 35%): dunque, «ci deve essere un’attenzione e un interesse sociale per questa larga fascia di persone» ha affermato lo psicanalista. «L’allungamento della vita è anche esaltante, ci spinge a pensare con positività al futuro» ha commentato Conti e Ammaniti ha ribattuto affermando che «i cambiamenti avvengono tutta la vita. Tutto il ciclo della vita è un cambiamento continuo». Però non è solo l’allungamento della vita la causa dell’invecchiamento della nostra società: lo è anche il forte calo dell’indice di natalità, ha ricordato.
L’incontro è cominciato con la proiezione di una serie di interviste che Ammaniti ha fatto qualche anno fa ad alcuni celebri “vecchietti”, ancora perfettamente lucidi e attivi. Persone che – a chi eventualmente ne dubitasse – dimostrano la veridicità di quanto successivamente osservato da Ammaniti: «Le persone avanti negli anni sono grandi testimoni, rappresentano la continuità con il passato, la memoria. Testimoniano la continuità del nostro mondo. Sono grandi maestri di vita, possono insegnare i grandi segreti della vita». “Ma certo, lo sappiamo” viene da rispondere. Ne siamo consapevoli, è vero, ma troppe volte non sappiamo o non vogliamo approfittare di queste fonti di sapere. Né di solito, pensando a quando saremo vecchi, ci immagiamo in questo modo anziché soli, decrepiti, inutili. Non è, però, quest’ultimo un esito scontato delle nostre esistenze ed evitarlo dipende certamente dalla fortuna che ci toccherà in fatto di salute e affetti, ma anche dall’atteggiamento con cui affronteremo questa nuova fase della nostra vita e da come sin da ora ci predisponiamo ad arrivarvi. Riferendosi ai personaggi noti da lui intervistati, Ammaniti ne ha identificato il tratto comune, che è poi il segreto della loro perdurante freschezza mentale: «Sono persone che continuano a essere curiose. “La curiosità non invecchia” è un’espressione transitiva e intransitiva: significa “la curiosità continua a restare viva” e anche “la curiosità aiuta a non invecchiare”». (Ci avevate riflettuto? Io no.) E se qualcuno sta pensando che Ammaniti la faccia facile perché ha scovato casi limite positivi, si sbaglia: lui per primo ha più volte riconosciuto che invecchiare comporta una serie di problemi. È stato, tuttavia, molto rassicurante, aggettivo che merita chi, come lui, non nega l’esistenza dei problemi, ma, riconoscendola, indica possibili soluzioni per superarli.
La curiosità è, dunque, l’elisir della giovinezza dello spirito (il che, essendo io molto curiosa, mi rincuora assai) e va intesa in duplice direzione: verso il mondo esterno ma anche verso sé stessi e la propria vita, ha rimarcato Ammaniti a sua volta citando Raffaele La Capria, protagonista di una delle interviste proiettate. «Quando uno è giovane, spesso è sovrastato dal rumore quotidiano. Andando avanti con gli anni, è maggiormente in grado di guardare sé stesso. È una fase importante della propria vita perché uno acquisisce una maggiore consapevolezza di sé» ha aggiunto.
Dopo aver rimarcato come nessuna delle persone intervistate appaia «arrabbiata, inquieta, nonostante stiano per concludere la loro vita», Paolo Conti ha così interrogato lo psicanalista: «Può essere, questo, un momento in cui si sciolgono i nodi del passato?» «Sì» ha risposto lui, precisando che «uno dei rischi è riguardare la propria vita in senso rivendicativo. Questo può diventare qualcosa di molto negativo, che può addirittura intossicare gli ultimi anni della vita. Uno non deve rimanere legato a un copione della propria vita, non riuscendo a vedere altre narrazioni: può perdonare, può compiere un lavoro che in altri momenti è difficile compiere perché troppo calato nella vita di tutti i giorni». Per invecchiare bene, dunque, è necessario mantenersi curiosi, perdonare gli altri e se stessi, ma anche continuare a essere attivi, ha poi aggiunto Ammaniti. Conti gli ha, quindi, domandato: «Quanto conta un’idea, un progetto, per gettare una palla oltre un ostacolo molto forte come è l’invecchiamento?» Citando il caso di Ettore Bernabei, che a 70 anni fondò la casa di produzione televisiva Lux, Ammaniti ha risposto che questi sono casi eccezionali, ma che ciò che conta è «guardare il mondo con stupore», come gli disse ancora La Capria, ossia «non dare tutto per scontato».
Riprendendo il discorso degli innegabili inconvenienti dell’invecchiare, il giornalista ha domandato allo psicanalista quanto conti saper assecondare il cambiamento del corpo. «Avere un atteggiamento negativo verso l’invecchiamento accelera l’invecchiamento stesso» ha risposto, citando alcuni studi scientifici che dimostrano la correlazione fra l’atteggiamento verso l’invecchiamento e il deterioramento fisico: maggiore è il rifiuto, maggiore è la possibilità di degradazione dell’Alzheimer, per esempio. «L’ansia e la tensione si ripercuotono a livello cerebrale e fisico» ha rimarcato. (Vi state preoccupando? Io sì!) Sempre su questo argomento, Ammaniti ha affermato che quando si è giovani, «il corpo è un compagno silenzioso», ma «a un certo punto comincia a farsi sentire e inizia un dialogo che ci impegna molto» (qui mi è venuto da pensare a “Storia di un corpo” di Daniel Pennac). «Il corpo ci manda dei segnali. Per esempio, quando aumenta la pressione, sta cercando di dirci: “Occupati più di te stesso, ripensa la tua vita”. Il corpo è un compagno che può diventare un nemico; è un compagno con cui si fanno i conti. È importante convivere con l’idea che il corpo ci può abbandonare».
Legato a questo è un altro tema affrontato nell’incontro e che «per molto tempo è stato un tabù», ha precisato Conti: amore e vecchiaia. «È vero che ci si può innamorare anche in tarda età?» ha domandato e Ammaniti ha risposto di sì, anzi, «non solo l’amore, ma anche la sessualità non è detto si spenga. Forse la genitalità, ma non la sessualità e ciò ha a che fare con il corpo. Ci si innamora con il cuore ma anche con il cervello perché si attiva la dopamina, l’ormone del piacere, della soddisfazione, e ciò avviene pure nella vecchiaia».
Non si può, inoltre, parlare di anziani senza tirare in ballo i giovani e riguardo a questo tema Ammaniti ha affermato che «è molto importante il rapporto con le nuove generazioni, quando si è avanti negli anni, perché ci obbliga a vedere le cose da un altro punto di vista. Sicuramente molte cose dei giovani sono difficili da capire, però questo rappresenta una sfida». Parole che mi hanno richiamato alla mente quelle che l’arguta Agatha Christie mette in bocca alla vispa Miss Purple o, meglio, alla sua prozia Fanny in “The murder at the Vicarage” (in Italia “La morte nel villaggio”): «The young people think the old people are fools; but the old people know the young people are fools!» (“I giovani pensano che i vecchi siano sciocchi; ma i vecchi sanno che i giovani sono sciocchi!”).
Il lato oscuro della vecchiaia, però, ha continuato a tormentare il pubblico, tanto che una persona ha domandato come si possa superare la solitudine, condizione che impedisce di avere questo atteggiamento positivo. Ammaniti ha risposto mostrando di essere perfettamente consapevole che esistono queste tristi realtà, contro le quali l’interessato da solo non può far molto: «In passato la famiglia cosiddetta patriarcale, allargata, aveva dei limiti, però i vecchi continuavano ad avervi un ruolo, non solo come memoria della famiglia, e c’era di solito rispetto verso di loro. Oggi la famiglia è cambiata: è quella ristretta, nucleare. Uno dei rischi è l’emarginazione, l’espulsione dei vecchi. In Italia ci sono istituti per vecchi che sono luoghi molto tristi e questo va ripensato: bisognerebbe pensare a comunità che non siano questo. Lì la vecchiaia assumerebbe altro significato. La solitudine e il senso di esclusione pesano molto» e, in parallelo, «è fondamentale la capacità di condividere tutto questo perché condividere può rendere le cose più sopportabili». Invece, a una signora che ha affermato «Sono anziana, ma la mia personalità mi pare sempre la stessa», lo psicanalista ha risposto che «ognuno di noi ha un’immagine di sé che spesso non procede parallelamente con gli anni, ossia cambia, però è come se si modificasse più lentamente. A molti di noi succede di sentirsi più giovane della propria età. È un lavoro di elaborazione che uno piano piano deve saper affrontare».