Verso il 60° anniversario della morte di Don Carlo Gnocchi
di Ernesto Bodini
giornalista scientifico (ed ex allievo)
Per la ricorrenza della sua scomparsa, il 28 febbraio, quale ex allievo dei suoi Istituti (dal 1958 al 1965) sento il dovere di ricordare questa figura, con particolare riferimento alla cerimonia per la sua proclamazione di Beato, con lo scoprimento dell’urna contenente il suo corpo e deposta sul sagrato del Duomo di Milano il 25 ottobre 2009. Un evento che ha fatto (e fa) rivivere nella memoria di tutti noi la figura di un prete fino in fondo. La sua carriera sacerdotale fu il servizio ai giovani come educatore, cappellano e benefattore generoso dei mutilatini e dei poliomielitici. Il suo incontenibile entusiasmo apostolico sostenuto da un grande sentimento di spiritualità, era ancorato alla Provvidenza divina; una energia creativa tale da trasformarsi in una immane imprenditorialità nel trovare mezzi e persone per far crescere quella che lui amava definire «la mia baracca». Un imprenditore della carità, senza limiti, che lo ha fatto salire agli “onori” della beatificazione con una cerimonia commovente a partire dalla lettura della formula, firmata dal papa facendo suo il motto: «Accanto alla vita, sempre».
Di don Gnocchi, Benedetto XVI ha ricordato la figura e l’attività di educatore, e la tragica ritirata di Russia che lo accompagnò in veste di cappellano volontario degli Alpini. «Scampato alla morte per miracolo – ha ricordato il pontefice – progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità… Lavorò per “restaurare la persona umana”, raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla fine, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi. La Fondazione che porta il suo nome è tuttora all’avanguardia nella cura di persone che necessitano di terapie riabilitative». Parole che hanno toccato l’animo di oltre 50 mila presenze alla cerimonia di beatificazione, giunte da tutta Italia, a partire dai 15 mila alpini tra cui alcuni reduci che condivisero con don Carlo la tragica ritirata di Russia; oltre 200 disabili in carrozzina e molte loro associazioni; gruppi di volontariato, di scuole intitolate negli anni a don Gnocchi, attive in ogni parte della Penisola; membri dell’A.i.d.o. in ricordo del gesto profetico dell’innesto di cornee; oltre migliaia tra volontari e operatori della Fondazione e di fedeli di ogni età e provenienza, da quelli partiti in bicicletta da Roma ai gruppi venuti appositamente dall’Africa, dal Sudamerica, dalla Bosnia.
Ma c’erano soprattutto loro, i suoi ragazzi, orfani, mulattini, mutilatini e poliomielitici accolti negli anni nei collegi della “Pro Juventute”, in gran parte oggi riuniti nella Associazione Ex Allievi. Una giornata di grande respiro religioso a cominciare dal rito e dalla esposizione delle spoglie di don Gnocchi, portate in spalla dai “suoi” alpini in processione sino in piazza del Duomo; ma anche sotto lo sguardo commovente di Silvio Colagrande e Amabile Battistello (i due allora ragazzi che alla morte di don Carlo riebbero la vista grazie alle sue cornee) per togliere il drappo che copriva l’urna nel momento in cui il prefetto pontificio della Congregazione dei santi, monsignor Angelo Amato, lo proclamava “beato” a nome del pontefice. «Beatificando don Carlo – ha esordito Dionigi Card. Tettamanzi, arcivescovo di Milano – la Chiesa dichiara autorevolmente che il desiderio di farsi santo è stato il sentimento dominante del suo cuore e insieme il principio fecondo della sua comunione d’amore con Dio e della sua infaticabile attività al servizio dell’uomo: una santità mistica e umanamente contagiosa e missionaria; una santità che conduceva a vivere nell’intimità di Dio e ad aprirsi e donarsi agli uomini in ogni ambito della loro esistenza».
Numerose le testimonianze a commento e rievocazione di un vissuto in prima persona, come quella di Luisa Arnaboldi, ex allieva degli Istituti della Fondazione e oggi presidente degli Ex Allievi Don Carlo Gnocchi, ha ricordato: «Quando entrai nella Casa di Pessano con Bornago, nel novembre 1955, avevo undici anni. Ero inferma, devastata dalla poliomielite. Don Carlo mi guardò fisso negli occhi: “ce la farai” disse. Da quel momento iniziai ad avvertire una forza dentro di me, E, un mese dopo, tornai a camminare con le stampelle». La sua lezione più grande? «Ci ha fatto capire che Dio non ce l’aveva con noi, che non ci aveva puniti”. Don Gnocchi morì pochi mesi dopo l’arrivo di Luisa al Centro: “Quando lo seppi mi arrabbiai moltissimo. Poi sentii una voce: Sarò con voi più di prima». L’aspetto religioso non è stato l’unico a inondare l’immensa folla, tra lacrime di emozione e sussulti di gioia, come risposta all’appello accorato ed entusiasta del presidente della Fondazione, monsignor Angelo Bazzari, terzo successore di don Gnocchi. Un altrettanto coinvolgimento della gente comune, ulteriore testimonianza del patrimonio umanitario lasciato da don Carlo, benefattore dell’umanità sofferente che ha fatto suo l’imperativo della bontà; un pedagogista sensibile e delicato che ha saputo infondere fiducia e speranza in tutti quei giovani e giovanissimi, figli immeritati di una guerra insensata, “colpevoli” unicamente di farne parte solo perché presenti e testimoni… Ma oltre al suo ultimo ed estremo gesto di bontà, nell’offrire i suoi occhi perché riacquistassero la vista due suoi piccoli protetti, don Carlo ha ancora dato segno della sua tangibile presenza in quanto gli è stato attribuito il primo miracolo, designando in questa sua ennesima dedizione Sperandio Aldeni (classe 1934, oggi scomparso), incredibilmente sopravvissuto, il 17 agosto 1979, ad una mortale scarica elettrica mentre lavorava in una cabina elettrica di Orsenigo (Como). Don Carlo ci è donato come esempio, il cui valore è oltremodo espresso nella dedica che il 20 marzo 1940 fece a sua cugina Luisa: «Molti si preoccupano di stare bene, assai più di vivere bene. Per questo finiscono anche per vivere molto male. Cerca di fare tanto bene nella vita e finirai anche tu per stare tanto bene».
La cerimonia vissuta anche oltre Continente
La solidarietà internazionale della Fondazione Don Gnocchi ha coinvolto alcuni Paesi oltre oceano con una folta rappresentanza di persone impegnate nel nome di don Carlo in vari continenti. Tra loro suor Mariangela Sardi, missionaria milanese in Ecuador nell’Istituto “Nuevos Pasos” di San Lorenzo, da lei gestito. «Dire don Gnocchi, nel mondo come in Italia – ha spiegato la religiosa –, non significa parlare solo di riabilitazione professionale o cure mediche specializzate. Don Gnocchi è soprattutto un esempio di vita per le tante persone che, attraverso i suoi Centri, entrano in contatto con lui. Nel nostro Istituto ci occupiamo di ragazzi disabili. Molti non hanno i genitori, o conoscono solo la madre. Per far loro capire cos’é l’amore di un papà raccontiamo loro la vita di don Carlo e il suo impegno per i bambini». L’eco della beatificazione del sacerdote ambrosiano è giunta anche in Sri Lanka, dove sono stati letti alcuni brani di don Gnocchi, oltre a toccanti momenti di meditazione. Ma anche in Rwanda, dove è stata celebrata una Messa speciale seguita da una grande festa, alle quali hanno partecipato 650 persone: molti giovani della parrocchia, le suore del Centre de Santé, le suore Abagiambo, le suore oblate che vi lavorano all’interno, i rappresentanti della Caritas di Rilima e il suo Segretario esecutivo. Oltre a suor Mariangela e ai responsabili dell’Area missionaria, erano presenti in Duomo rappresentanti di altre realtà mondiali quali il dottor Turay, direttore Holy Spirit Hospital (Sierra Leone); Chiarina Daolio, presidente Miri Dobro (partner progetto Bosnia Erzegovina); Lucia Gozzi, direttrice amministrativa del Centro “Santa Maria di Rilina” (Rwanda); i volontari Giorgio Guzzonato e Claudia Conti; gli ex operatori progetto Sri Lanka, Sara Zordan e Gian Piero Taricco; i coordinatori del Gruppo Escursionisti Sforzatica Dalmine, Giuliana e Costantino Esposito, la rappresentante laica missionaria del Pime, Noemi Brambilla; e Domenico Lubello della L.O.S. Ortopedia.