Vita e morte nello spettacolo teatrale “Anime da un villaggio scomparso”
Sabato scorso, 30 aprile 2016, al Teatro La Vetreria di Pirri-Cagliari è andato in scena “Anime da un villaggio scomparso” di Abaco Teatro, diretto da Rosalba Piras e presentato insieme alla Prometeo AITF Onlus. Nel salutare il pubblico, il presidente Giuseppe Argiolas ha precisato che si tratta della prima volta in cui l’associazione di trapiantati sardi presenta uno spettacolo teatrale e che anche questo è un modo per sensibilizzare le persone, per «far sì che cresca la solidarietà». Che, cioè, ci siano tanti “sì” alla donazione degli organi e che questi consentano di salvare numerose vite con un trapianto. Argiolas ha fatto presente che questo “miracolo” è accaduto anche il giorno precedente, toccando un traguardo importante: il 200° trapianto di cuore realizzato a Cagliari. Il paziente, giunto all’intervento in gravissime condizioni, ora sta bene e questo si deve al suo donatore e all’équipe che lo ha operato, diretta dal dott. Emiliano Cirio (peraltro presente a teatro con altri operatori sanitari che si occupano di trapianti e donazioni). «Siamo fortunati a essere in Italia» ha rimarcato il presidente della Prometeo, spiegando che non tutti i Paesi, compresi i tanto ammirati Stati Uniti, consentono a chiunque, anche ai pazienti con scarsi mezzi economici, di accedere a questo costoso intervento salvavita.
Ma veniamo allo spettacolo, lavoro complesso in cui i versi di “Memorare, omaggio ai dimenticati”, dedicati da Francesco Sonis al villaggio scomparso di Sitzamus, si intrecciano con testi di altri autori e con un cortometraggio di Giovanni Coda, prodotto da Abaco e realizzato proprio nei luoghi in cui sorgeva Sitzamus. A portare in scena quest’opera corale anche stavolta è stato un cast composto da attori professionisti (Tiziano Polese, Rosalba Piras, Laura Ortu e Luana Maoddi) e da allievi della Abaco Art Academy (Maurizio Angius, Emma Cabiddu, Sabrina Corona, Riccardo Mameli, Erika Marras, Cristina Piras, Giovanna Piselli e Camilla Scameroni).
Che si tratti di uno spettacolo emozionante l’ho già raccontato in occasione della rappresentazione di “Anime da un villaggio scomparso” a Sanluri; questa volta, dunque, mi concentrerò su alcuni particolari che portano lo spettatore a riflettere sulla vita e sulla morte, sull’egoismo e sulla solidarietà, su tutti quei temi con cui deve fare i conti la scelta di donare o meno gli organi.
Innanzitutto, l’opera contiene un forte invito a non voltare la faccia dall’altra parte quando i nostri occhi incrociano la sofferenza altrui. La vicenda della comunità di Sitzamus – stremata da fame, povertà, abusi dei potenti e malattia – è, infatti, solo un simbolo di tutti i drammi e ci ricorda che, spesso, possiamo fare qualcosa per alleviare la sofferenza del prossimo, se non addirittura per evitare che muoia. “Il dolore bussò alla mia porta, ma io ebbi paura” declama Tiziano Polese (sul palco come narratore e nei panni del Conte Ugolino cantato da Dante): parole che in qualche modo ci ammoniscono e ci esortano a non rifiutare il confronto con il dolore e a cercare, piuttosto, di trarne qualcosa di positivo. Chi di noi è in salute e immerso in una vita più o meno serena raramente ha voglia di pensare alla propria o altrui morte, né è molto propenso a chiedersi se, nel caso dovesse morire, vorrebbe che i propri organi fossero donati a qualcuno in fin di vita. Parimenti, è poco portato a pensare che un domani potrebbe aver bisogno di un trapianto o che questa necessità possa riguardare un proprio caro. Eppure, sono tutti scenari possibili, purtroppo, e ognuno di noi dovrebbe pensare che la vita “gracile come stelo di papavero mi sostiene”, per usare le parole di Angela, interpretata da Laura Ortu.
Dolore e morte fanno parte del destino di tutti, non possiamo evitarli. Possiamo, però, prepararci al momento in cui dovremmo affrontarli. Soprattutto, possiamo fare in modo che, almeno potenzialmente, quel momento rappresenti anche un inizio, non solo per noi – se crediamo nell’Aldilà – ma anche per qualcun altro, magari un malato che attende un nuovo organo per cominciare una nuova vita. Nello spettacolo “Anime da un villaggio scomparso” ci sono alcune scene che metaforicamente richiamano quest’alternanza tra vita e morte, questa rinascita. Penso al momento in cui le madri addolorate di Sitzamus depongono a terra fagotti che idealmente racchiudono i loro bimbi sterminati dalla fame e dalla peste: al loro posto possiamo immaginare i pazienti che muoiono in una Rianimazione. E come al tocco di Sisinnia-Angelo danzante (Luana Maoddi) quei fagotti si dispiegano per diventare lenzuola candide in movimento, così sotto le mani dei chirurghi quei pazienti morti possono diventare donatori e così la vita racchiusa negli organi da loro prelevati può rianimare i corpi ammalati dei pazienti da trapiantare. Ugualmente si può attribuire questo valore simbolico al soffio del piccolo Angelo (Emma Cabiddu) che rianima il corpo esanime di Sisinnia.
Due gli insegnamenti che questa rappresentazione ha consegnato al pubblico, con la speranza che sapesse comprenderli e farne tesoro. Il primo è il dovere della memoria, il dovere di onorare con il ricordo chi non c’è più, che siano le anime di Sitzamus e tutti coloro che rischiano l’oblio o i generosi donatori di organi. Il secondo insegnamento è che la solidarietà e l’amore sono più forti della morte e del dolore, come simbolicamente ricordano i cappotti neri che, sul finale dello spettacolo, cedono il posto alle vesti bianche delle Anime e alla veste rossa di Rosalba Piras. È, però, una delle scene corali finali, con i due angeli e le Anime, a ricordarci, in particolare, che possiamo essere l’uno il sostegno dell’altro.
Le foto sono di Paolo Medas, che ce ne ha gentilmente concesso l’utilizzo